"La Cina corre e pensa in grande: non capirla è un rischio enorme"

Il più importante sinologo francese Benoît Vermander racconta la lunga storia che ci lega a Pechino. Da Marco Polo ai dazi di Donald Trump

"La Cina corre e pensa in grande: non capirla è un rischio enorme"

Benoît Vermander, gesuita appartenente alla Provincia cinese della Compagnia di Gesù (dove è entrato nel 1988), ha conseguito il dottorato in Scienze politiche e in Teologia, e ha lavorato presso il Parlamento europeo prima della vocazione. Dal 2009 è professore di Antropologia della religione presso l'Università Fudan (Shanghai), dove insegna anche Ermeneutica dei classici cinesi. Nel 2014 è stato designato come una delle 50 personalità più influenti nelle relazioni tra Cina e Francia degli ultimi cinquant'anni. Vermander è uno dei protagonisti del convegno di studi, organizzato da Mcl: Incontri di civiltà: il viaggio di Marco Polo e Matteo Ricci nell'intreccio tra Oriente e Occidente che si tiene, oggi, alla Sala del Refettorio Palazzo San Macuto - Camera dei deputati (in Via del Seminario, Roma, dalle 10 e 30). Lo abbiamo intervistato per capire la storia e il presente dei rapporti tra Occidente e Cina.

Padre Vermander, la globalizzazione non è iniziata oggi. Marco Polo prima e Matteo Ricci poi, che ruolo hanno avuto nei contatti tra Oriente e Occidente?

«Sia Marco Polo che Matteo Ricci hanno contribuito alla convinzione che il mondo sia uno, per quanto profonde possano essere le differenze e i contrasti. Il nostro mondo è segnato da transizioni e gradazioni che lo articolano come un sistema. Ancora più importante, gli incontri tra persone e nazioni realizzano progressivamente l'unità. Tuttavia, esistono differenze tra i due esploratori italiani. Il modello di Polo rimane un modello narrativo, quello del romanzo. Il modello di Ricci è geometrico: il mondo può essere compreso matematicamente; e la geometria è il linguaggio universale della ragione, che va oltre le differenze tra i linguaggi naturali».

Marco Polo, con Rustichello da Pisa, ha narrato in modo fantastico la Cina nel Milione. La mitizzazione della Cina è ancora una tendenza attuale?

«Il periodo di Polo e il nostro non possono essere realmente paragonati. Ai tempi di Polo, i fatti da apprendere sull'Altro erano troppo pochi. Oggi, spesso, i fatti sono troppi: non separiamo ciò che è importante da ciò che è aneddotico. Eppure, i resoconti sulla Cina sono ancora spesso segnati da esagerazioni, a volte descrivendo un Paese fantastico, molto più avanti di noi, a volte una sorta di inferno. È vero che le dimensioni e l'importanza del Paese rendono difficile mantenere un senso di equilibrio, ma oggi l'accuratezza e il senso delle proporzioni sono più importanti che mai».

Marco Polo era un mercante, le relazioni con la Cina decollarono a partire dal commercio. Ora, con i dazi, non c'è il rischio di sconvolgere un percorso di riavvicinamento secolare?

«In effetti, il doux commerce, come dicevano i filosofi del XVIII secolo, può pacificare i rapporti, può sostituire la guerra. Allo stesso tempo, abbiamo visto che il commercio internazionale può diventare profondamente destabilizzante per l'economia di un Paese se il suo sistema industriale diventa obsoleto a causa di sostituti a basso costo. Tuttavia, innalzare brutalmente le barriere commerciali non è ovviamente la soluzione, anzi, accresce notevolmente gli antagonismi. Lo scambio commerciale deve essere accompagnato dall'approfondimento del dialogo culturale e diplomatico, da una più profonda comprensione reciproca e da un'abile contrattazione».

Non c'è il rischio di riaccendere un clima di tensione simile a quello delle due Guerre dell'oppio?

«In effetti, il ricordo delle aggressioni occidentali in Cina nella seconda metà del XIX secolo rimane vivido, e tale retorica può essere facilmente mobilitata dal governo cinese, anche se l'attuale contesto internazionale ha visto un drastico cambiamento: a quel tempo, la Cina era chiusa in se stessa, e le nazioni occidentali la costrinsero ad aprirsi al commercio internazionale, a partire dall'oppio... Oggi, le stesse nazioni occidentali cercano di proteggersi dall'afflusso di merci cinesi. Ma, ad esempio, il discorso del vicepresidente Vance sui contadini cinesi è profondamente offensivo. Fortunatamente, questo modo di parlare tradisce un senso di superiorità che, oggi, è così ingiustificato, così ridicolo che molti cinesi lo deridono con disprezzo».

Matteo Ricci fu invece una delle figure più rappresentative della sinologia missionaria. Quale ruolo ebbe la sinologia missionaria nello sviluppo della sinologia occidentale?

«Dalla fine del XVI secolo alla fine del XVIII secolo, quasi tutte le informazioni che l'Europa riceveva dalla Cina furono trasmesse tramite i missionari, soprattutto tramite i gesuiti. Questo fu un fattore decisivo nel plasmare l'Illuminismo e nel promuovere la sinofilia... Si trattava generalmente di informazioni di alta qualità».

Vive in Cina da molti anni. Come vede lo sviluppo e i cambiamenti in Cina negli ultimi anni?

«Sono andato in Cina per la prima volta nel 1987. All'epoca, quando si arrivava all'aeroporto di Chengdu, si passava direttamente dalla pista a un hangar. Ora, il secondo aeroporto internazionale costruito a Chengdu è uno dei più grandi che abbia mai visto... Tutti sanno che la trasformazione economica che la Cina ha subito negli ultimi 45 anni non ha precedenti nella storia mondiale e rappresenta un fenomeno che potrebbe non ripetersi mai più. Anche i cambiamenti mentali sono stati rapidi e continui».

La Cina sta procedendo con una significativa riorganizzazione militare. E i suoi atteggiamenti, visti dall'Occidente, sembrano aggressivi. Ora è colpita dai dazi statunitensi... C'è un pericolo reale, secondo lei?

«C'è una forte continuità nella politica seguita dalla fine del 2012, quando Xi Jinping viene eletto alla guida del Partito e getta le basi di quella che oggi viene definita la Nuova Era. Si tratta di una politica di assertività, di rafforzamento delle capacità militari, economiche e tecnologiche, ma anche di resilienza collettiva, per prepararsi a uno scontro non desiderato, ma visto come inevitabile, frutto di una mera logica storica. Quindi, sì, ci sono rischi evidenti. Tuttavia, non sappiamo ancora quale sarà la strada intrapresa in ultima analisi, dato che Trump è soggetto a bruschi cambi di rotta. Due scenari però prevalgono già sugli altri. Il primo privilegia l'ipotesi di una coalizione provvisoria tra Stati Uniti e Russia. Questa Doppia Intesa permetterebbe ai primi di risolvere la questione europea in modo tale da potersi poi concentrare sulla potenza che considerano più minacciosa, la Cina.

Il secondo scenario è quello di una Triplice Alleanza, un'alleanza fra le tre grandi potenze, che durerebbe il tempo necessario a soddisfare gli obiettivi primari dei partner: a te, la Groenlandia, Panama, persino Gaza o il Canada; a me, l'Ucraina, i Paesi Baltici, il controllo dell'Ungheria e pochi altri; a loro, Taiwan e il Mar Cinese... Naturalmente, il secondo scenario è così rischioso per ciascuno degli attori che si esita a credere alla sua credibilità. Ma diversi fattori ci costringono a considerarlo».

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