La professoressa Paola Mastrocola è docente e scrittrice.
Cosa pensa dei risultati della ricerca secondo cui il 60% degli studenti degli istituti tecnici, alla fine del quinquennio di studio, trova lavoro?
«È un dato che mi fa piacere. Ma che dovrebbe spingere verso un’ulteriore evoluzione»
Quale?
«L’innalzamento della qualità dell’insegnamento negli istituti tecnici e professionali».
Che, mi pare, ancora sono visti come scuole di serie b.
«Purtroppo è così».
Da cosa dipende?
«Da uno sbagliato schematismo culturale. In base al quale sembra quasi che il figlio di un professionista debba vergognarsi di seguire un istituto tecnico».
Invece?
«Invece nella scuola questa rigida differenziazione dovrebbe sparire. Insomma, se il figlio di un avvocato volesse studiare per diventare un intarsiatore del legno, dovrebbe poterlo fare senza sensi di colpa né da parte sua né della famiglia».
Un’utopia.
«Forse in Italia. Ma ci sono paesi, come ad esempio la Germania, dove anche chi sceglie lavori artigianali ha la possibilità di formarsi a livello universitario».
Cosa, propone: un ateneo per l’intarsio del legno?
«Perché no? L’università non deve essere solo ad appannaggio di chi sceglie dottrine teoriche, ma pure di chi opta per discipline pratiche».
Lei ha definito il suo libro «Togliamo il disturbo» (Ed. Guanda) un «atto di accusa alla mia generazione». In che senso?
«Nel senso che la mia generazione ha compiuto alcune scelte disastrose e non manifesta oggi il minimo pentimento».
Che appello si sente di rivolgere ai giovani?
«Di scegliere loro, in prima persona, la vita che vorranno, ignorando ogni pressione, sociale e familiare».
Uno slancio di libertà.
«Non solo di libertà, ma di coraggio. Un atto rivoluzionario».
Rivoluzionario nei confronti di chi?
«Verso quel mondo che ogni giorno li vezzeggia, li compatisce alimentandone il vittimismo. I giovani si riprendano invece la libertà di scegliere se studiare o no, sovvertendo i luoghi comuni che ci opprimono da 40 anni».
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