Ieri il presidente della Biennale di Venezia Pietrangelo Buttafuoco e il curatore della 19esima Mostra Internazionale di Architettura Carlo Ratti hanno annunciato titolo e tema della Biennale Architettura 2025. Prima (gradita) sorpresa, il titolo è in latino: Intelligens, con una sottolineatura per «gens». Intelligenza, dunque, ma al servizio della gente. L'antico incontra il moderno, anzi il contemporaneo perché dire Intelligenza, nella nostra epoca, significa soggiungere Artificiale subito dopo.
Non sappiamo ancora dove ci porterà l'Ia anche se siamo sicuri che sarà il nostro nocchiere. Ma come essere certi che le opportunità non diventino un incubo? E qui torniamo all'antico: applicando l'intelligenza umana all'Ia. L'intelligenza naturale ha ancora un futuro: ma deve saperlo costruire, come un architetto deve sapere costruire un palazzo o una città. Ratti lo dice bene in modo suggestivo: «Saremo in grado di progettare edifici intelligenti come alberi?». Una «felice eresia», come l'ha chiamata Buttafuoco, per l'architetto a capo del Senseable City Lab del Mit di Boston: alla fine del circuito di silicio, la civiltà, c'è l'origine: l'ambiente. E vengono in mente le straordinarie opere di chi ha teorizzato meglio di ogni altro l'incantamento della tecnologia e la sua somiglianza, nelle forme più avanzate, con le antiche tradizioni: il sociologo francese Michel Maffesoli.
Ratti vuole aprire un dialogo e inaugurare un nuovo modo collaborativo di presentare le grandi esposizioni come la Biennale, e ha approntato, per questo, un Manifesto della circolarità. La Biennale «parlerà» con altre istituzioni, ad esempio la Triennale di Milano, sul tema della inevitabile svolta green. Con la consapevolezza, aggiunge Ratti, che dobbiamo fortemente interrogarci su chi pagherà il conto della transizione (che ormai è un fatto inevitabile).
Venezia, città fragile, proporrà qualche soluzione alla fragilità. La chiusura del Padiglione centrale farà sì che la mostra sia dislocata nei Giardini, all'Arsenale e anche nella città. Le sezioni vertono su intelligenza naturale, artificiale, collettiva. Naturale: la biomimetica ci ricorda che i progetti migliori sono il prodotto di milioni di anni di evoluzione. È la natura dunque a orientare i progetti. Artificiale: le infrastrutture digitali occupano ormai tutta la superficie terrestre e iniziano a reagire come un organismo vivente. L'opportunità è enorme. Per quanto dispendiosa dal punto di vista del consumo energetico, questa rete può trovare soluzioni per mitigare il clima (la prima comunque è naturale: piantare alberi). Ma è anche un rischio. L'Ia potrebbe rendere superfluo il ruolo dell'architetto e aprire scenari distopici. Collettiva: esiste anche l'architettura senza architetti. Non c'è bisogno di andare fino alle abitazioni rupestri dei Dogon sull'altipiano di Bandiagara. Basta una visita ad Alberobello in Puglia o tra i monti del Conero e della Vernia. Insediamenti «informali», come vengono chiamati, dotati in realtà di una forma nata generazione dopo generazione a contatto e in confronto con la natura.
La sezione finale è affascinante. E se fosse troppo tardi per fare la pace col nostro pianeta? Forse si dovrebbe colonizzare lo spazio... Beh, non è certo una ipotesi né remota né fantascientifica. Già uno scrittore come William Burroughs, negli anni Ottanta, poneva l'abbandono del pianeta come «naturale» evoluzione della specie virale nota come uomo.
Oggi, gli imprenditori come Elon Musk e Jeff Bezos sognano, a occhi molto aperti, di portare l'uomo nello spazio, resta da decidere quale uomo: noi, quelli normali, o gli altri, quelli che verranno e i superuomini che saranno fusi con le macchine? Quando saliamo su una Tesla o ci arriva un pacco da Amazon dovremmo chiederci cosa siano le aziende di cui ci serviamo e cosa ci stiano realmente vendendo...Ogni Padiglione nazionale svolgerà questi temi in completa libertà ma in dialogo con la Mostra Internazionale, dedicata a Italo Rota (1953-2024).
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