"Lì il delitto d’onore è la normalità". Il Pakistan mostra il volto della madre di Saman

La corte italiana non esclude che la donna possa aver avuto una parte attiva nell'omicidio di Saman Abbas

Screen "Chi l'ha visto?"
Screen "Chi l'ha visto?"
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L’ultima volta che l’Italia aveva intravisto il suo volto era accaduto all’aeroporto di Malpensa. Lì, all’indomani della scomparsa della figlia Saman Abbas, il 2 maggio 2021, aveva preso un aereo, si era recata in Pakistan. Poi la sua lunga latitanza, durante la quale i programmi televisivi hanno diffuso alcune delle fotografie dei ricordi di Saman.

Con l’arresto di Nazia Shaheen gli italiani possono rivedere il suo volto, senza mascherine anti-Covid o senza veli tradizionali: è lei la donna che la corte d’assise di Reggio Emilia ha condannato all'ergastolo per l’omicidio di Saman - insieme con il marito Shabbar Abbas, mentre al cognato Danish Hasnain è stata attribuita una pena di 14 anni. Questo è lo scatto relativo al fermo, che la mostra caratterizzata da profonde occhiaie, con indosso un velo bianco a coprire i capelli. Tra qualche giorno, il 12 giugno, partirà il tanto atteso iter per l’estradizione: la cattura di Nazia per l’omicidio di Saman ha un grosso significato, non solo per l’Italia.

L’arresto della madre di Saman è un monito molto importante a tutte le donne pakistane che approvano o sollecitano le azioni violente dei mariti verso i figli. Ora sanno che per loro non c’è impunità o schermo dalla legge. È un risultato molto positivo”, ha spiegato a Il Giorno l’attivista e intellettuale Wajahat Abbas Kazmi, che vive a Reggio Emilia da quando era un bambino e che a propria volta ha rischiato il matrimonio combinato.

Wajahat ha raccontato che nella comunità pakistana le donne tengono sotto scacco le figlie, cercando di convincerle ad abbracciare le decisioni famigliari, ma quando non ci riescono, sulle ragazze scattano le violenze. Lì in Pakistan, dove, nonostante una legge stabilisca si tratti di un reato, “il delitto d’onore è la normalità”, si lavora sulla pena: a ogni arresto cala la sensazione di impunibilità, anche se resta uno zoccolo duro di persone che “pensano sia corretto uccidere chi ha disonorato la famiglia e la tradizione”.

Ma il delitto di Saman è avvenuto in Italia, Paese che insieme a lei ha pianto anche altre giovani uccise per l’“onore”. L’integrazione, secondo l’attivista potrebbe essere la chiave, in primis linguistica: “I nostri immigrati hanno un background povero, le donne hanno un’istruzione di base. Non riescono a integrarsi perché l’Italia non fornisce gli strumenti per farlo: innanzitutto corsi di lingua. Lingua è cultura e integrazione. Le pakistane vorrebbero prendere la patente, lavorare, essere autonome. C’è tanta voglia di imparare, poi si rassegnano alla routine domestica. Tante pensano sia meglio stare in famiglia e in comunità che finire in mano ai servizi sociali”.

C’è di più: essendo l’immigrazione pakistana un fenomeno relativamente recente in Italia, le pakistane di seconda generazione

potrebbero sottovalutare i pericoli: “Crescono nella cultura italiana, vedono i loro padri in un contesto in cui non hanno la percezione che dentro di loro c’è anche l’uomo pakistano che può diventare pericoloso”.

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