Nel giornata di martedì 3 dicembre, la Corte d'Assise di Venezia ha condannato in primo grado all'ergastolo Filippo Turetta, reo confesso di aver ucciso la fidanzata Giulia Cecchettin nella notte tra il 10 e l'11 novembre 2023. Nel computo della pena i giudici hanno escluso l'aggravante della crudeltà e dello stalking, riconoscendo invece la premeditazione del delitto. "Generalmente s'intende la crudeltà in un senso diverso da come viene interpretata dalla giurisprudenza. La crudeltà giuridica non è quella percepita nel sentito comune", spiega alla redazione de Il Giornale l'avvocato Francesca Florio, esperta di diritto penale, divulgatrice social e autrice di libri.
Avvocato Florio, sul piano giuridico che valore ha la condanna all'ergastolo di Filippo Turetta?
"Nell'ordinamento italiano l'ergastolo è la pena perpetua, la più grave a cui si possa essere condannati. Alcuni lo ricollegano al 'fine pena mai' però, di fatto, non è così. Inoltre si fa spesso confusione anche con il c.d. ergastolo ostativo, che viene applicato per altri reati, come ad esempio quelli associativi (i crimini di mafia). Per quanto riguarda l'ergastolo 'semplice' la legge prevede che il condannato non possa accedere a una serie di benefici, che sono invece contemplati per altri condannati, prima di un numero determinato di anni dal decorso della pena".
Che tipo di benefici? E quali sono le tempistiche?
"Prima dei dieci anni, un detenuto condannato all'ergastolo non può accedere a permessi a premio, ad esempio. E ancora, prima dei 20 anni non può ottenere la semilibertà. Infine prima dei 26 anni non può accedere alla cosiddetta liberazione condizionale, che ne implicherebbe la scarcerazione. Questi 26 anni possono diventare 21 per la c.d. buona condotta. E quindi, nel caso in cui un condannato risulti aver partecipato attivamente all'opera di rieducazione e si sia ravveduto, dandone prova concreta, è prevista la liberazione anticipata".
Cioè?
"La liberazione anticipata si ottiene sottraendo 45 giorni da ogni semestre di pena, dunque 90 giorni all'anno, ed è quello che comunemente viene chiamato sconto di pena per buona condotta. Chiaramente quando si devono fare i conti ogni caso è a sé e viene valutato dal magistrato del Tribunale di Sorveglianza che ha in carico l'esecuzione del detenuto".
I giudici della Corte d'Assise di Venezia hanno escluso l'aggravante della crudeltà che era stata contestata dalla procura. Come lo spiega?
"Generalmente s'intende la crudeltà in un senso diverso da come viene interpretata dalla giurisprudenza. La crudeltà giuridica non è quella percepita nel sentito comune. Altrimenti, se la mettiamo in questi termini, ogni omicidio è crudele. Il fatto di togliere la vita a un'altra persona è indubbiamente brutale. Lo stesso discorso vale per le modalità dell'azione omicidiaria: non esistono modalità più o meno lievi per commettere un omicidio".
E dunque quando viene riconosciuta l'aggravante della crudeltà?
"Anzitutto bisogna chiarire che l'aggravante specifica parla di sevizie e crudeltà. La giurisprudenza la interpreta come una aggravante che si applica nel caso in cui le modalità dell'azione omicidiaria abbiano travalicato lo scopo dell'azione stessa. Detto in parole povere, c'è crudeltà quando viene inflitta alla vittima una sofferenza ulteriore e non necessaria a causare la morte del soggetto".
A Giulia Cecchettin sono state inflitte 75 coltellate. Quindi non fa testo neanche il numero di fendenti?
"La Cassazione si è più volte espressa sul punto specificando che il numero di colpi inferti con arma bianca da punta e taglio, oggetti contundenti e coltelli non incide sulla sussistenza dell'aggravante di crudeltà. In quanto è la finalità dell'azione a fare la differenza. Molti omicidi colpiscono ripetute volte la vittima esclusivamente al fine di neutralizzata. E così anche nel caso delle ferite post mortem: può accadere che il soggetto agente non si renda conto del numero di colpi inferti su quello che è ormai un cadavere. Diverso è, ad esempio, se l'omicida procura alla vittima delle bruciature sul corpo con una sigaretta. In questo caso o in quello di qualcuno che deliberatamente infligge colpi per sfregiare il viso di una persona possiamo parlare di sevizie e crudeltà".
Ritornando alla sentenza di Turetta, i giudici hanno escluso anche l'aggravante dello stalking. Secondo lei perché?
"È un ragionamento puramente speculativo. In attesa di leggere le motivazioni della sentenza, si può ipotizzare che non sia stato ritenuto integrato l'evento del reato di atti persecutori. Lo stalking è un reato che si commette ponendo in essere una condotta composta da molestie e minacce reiterate, quindi ripetute nel tempo. Nel caso di Filippo Turetta, secondo quanto emerso dall'istruttoria, c'erano. Però, affinché si possa configurare il reato di stalking, le molestie e le minacce devono ingenerare un effetto nella persona offesa, il c.d. evento del reato. L’evento del reato di stalking è alternativamente costituito dal perdurante stato di ansia e turbamento, oppure il timore per la propria
incolumità e quella dei propri cari o ancora la necessità di cambiare le proprie abitudini di vita. Nel caso di Giulia Cecchettin è possibile che i giudici abbiano ritenuto che la ragazza, nonostante avesse manifestato alcune ritrosie nei confronti dell'ex fidanzato, non fosse ancora in uno stato di ansia e turbamento tale da non volerlo più frequentare. Tant'è che si erano accordati per andare a scegliere insieme il vestito per la laurea il pomeriggio del
giorno in cui Giulia è stata uccisa".
Secondo lei, è possibile la rieducazione di un omicida come Turetta o Impagnatiello?
"Che si debba tentare una rieducazione non è una mia opinione o quella di qualunque altro avvocato, ma quello che sancisce la costituzione. È un principio costituzionale che la pena debba tendere alla rieducazione del reo. Poi sta al singolo accedere a questa opportunità e partecipare all'opera di rieducazione proposta. Non vedo perché non si debba reputare possibile questa alternativa anche per chi commette reati gravissimi, come un omicidio aggravato. È una via che ci impone, giustamente aggiungo, la Costituzione quella di rieducazione del reo".
Ci sono stati casi di assassini che si sono ravveduti?
"Certo. Nei casi di reati associativi, ad esempio, ci sono stati ex boss o affiliati che si sono ravveduti. Pensiamo anche ai delitti che coinvolgono minorenni, come il caso di Novi Ligure.
Erika De Nardo, che aveva ucciso la madre e il fratellino di 11 anni, di concerto con il fidanzatino dell'epoca, si è totalmente ravveduta e oggi conduce una vita normale. Per quanto sia difficile da comprendere, bisogna ricordare che la pena ha un valore rieducativo oltre che retributivo. Ogni detenuto, anche il più efferato omicida, ha diritto a una seconda chance".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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