Serena Mollicone è “La ragazza del bosco”. Si intitola in questo modo il volume scritto a quattro mani dalla legale Federica Nardoni e la criminologa Roberta Bruzzone, per raccontare con autorevole precisione scientifica il caso della 18enne scomparsa ad Arce l’1 giugno 2001 e poi ritrovata uccisa due giorni più tardi in un boschetto di località Fonte Cupa.
Quello di Serena Mollicone è un caso complesso e sicuramente annoso. Un uomo è stato già assolto in un procedimento giudiziario in cui era stato accusato di essere il killer: si trattava di Carmine Belli, l’ultimo ad averla vista nei pressi di un bar non distante dal boschetto. Belli era innocente e alla sua assoluzione giunse nella caserma dei carabinieri di Arce un nuovo comandante, Gaetano Evangelista, che diede un grosso impulso all’inchiesta.
Al momento si è al processo d’appello e la sentenza è attesa per luglio 2024. Alla sbarra ci sono l’ex comandante dei carabinieri di Arce Franco Mottola, la moglie Anna Maria, il figlio Marco Mottola, oltre che due carabinieri, Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano. L’ipotesi è che Serena sia stata nella caserma di Arce, il suo capo sarebbe stato sbattuto contro una porta. Ma non sarebbe morta in quel modo, in quel momento: mentre era priva di sensi, le sarebbe stato legato un sacchetto in testa e Serena sarebbe perita nell’agonia asfittica, mentre mani e piedi sarebbero stati tenuti fermi con nastro adesivo e fil di ferro. “Io mi sto occupando del caso insieme all’avvocato Nardoni, sono consulente della zia di Serena, ho partecipato al processo di primo grado e di secondo grado, e quindi sono consulente in parte accusatoria”, chiarisce a IlGiornale.it la criminologa Bruzzone.
Dottoressa Bruzzone, nome nasce l’idea di scrivere “La ragazza del bosco”?
“L’obiettivo del libro nasce un po’ dall’amarezza legata al tipo di esito del processo di primo grado. Abbiamo deciso con l’avvocato Nardoni di concentrarci su un testo che raccontasse tutta l’inchiesta e il processo di primo grado. Siamo rimasti sorpresi e amareggiati per la sentenza di assoluzione. Noi riteniamo che l’impianto accusatorio sia ampiamente fondato: da lì è nata l’idea di riprendere tutto il materiale e raccontare questa vicenda con dovizia di dettagli, in maniera chirurgica, in modo da offrire al lettore la possibilità di conoscere davvero questa storia in tutti i suoi aspetti e tutte le sue contraddizioni. Abbiamo ricostruito tutto, comprese alcune dichiarazioni di soggetti chiave: gli imputati in primis ma non solo loro”.
Quali sono le caratteristiche più evidenti dell’omicidio Mollicone? Omertà, depistaggi, omissioni?
“In questa storia c’è un po’ di tutto. Io sono convinta dell’impianto accusatorio, per cui è una storia che comincia nel peggiore dei modi: se abbiamo ragione noi, l’inchiesta viene inizialmente gestita da chi avrebbe avuto tutto il vantaggio di alterarla, rallentarla, creare occasioni di disturbo. Quindi, se l’ipotesi accusatoria è corretta, già quest’aspetto è abbastanza emblematico”.
Nel procedimento contro Carmine Belli si parlò di ipotetico movente sessuale. Ma Belli è stato assolto. Qual è oggi il possibile movente dell’omicidio?
“A prescindere da come si concluderà questa vicenda giudiziaria, c’è chiaramente una matrice ritorsiva. Serena Mollicone viene uccisa, evidentemente perché rappresenta un problema per qualcuno, verosimilmente in un posto al chiuso, e poi viene riportata nel boschetto di Fonte Cupa per accreditare l’ipotesi che non sia mai tornata ad Arce, perché l’ultimo avvistamento la colloca a circa 300 metri dal boschetto. Chi è che si può dare tanto da fare per accreditare l’ipotesi che questa ragazza abbia fatto una brutta fine perché avrebbe dato confidenza alla persona sbagliata, quando sappiamo bene che così non è andata? Anzi l’opera di confezionamento è stata abbastanza complessa, estremamente precisa e chiaramente avvenuta altrove. Sono dei dettagli che mi fanno propendere per qualcuno che sapesse molto bene come gestire la parte dell’inchiesta e soprattutto, nonostante l’epoca sapesse evitare di lasciare tracce utili”.
Cosa ci dice dell’offender il modo in cui è stata uccisa Serena?
“Verosimilmente si tratta di un’aggressione in due tempi condotta da due soggetti diversi, uno più impulsivo e più incline agli scoppi di ira, più giovane e probabilmente disregolato - quello che probabilmente considerava Serena una fastidiosa interferenza - e qualcun altro, più consapevole, privo di empatia ed estremamente preciso, che subentra in un momento successivo e decide di non soccorrere questa ragazza, ma anzi di ‘confezionarla’, decretandone la morte. Sono due soggetti con caratteristiche personologiche molto diverse”.
Nel caso di Serena Mollicone si è di fronte certamente a una figura molto positiva per via della sua lotta allo spaccio. È un dettaglio che dovrebbe essere maggiormente valorizzato nella narrazione della vicenda?
“Quella di Serena era una vita normalissima. Amava anche gli animali e si batteva per una serie di cause. Era chiaramente animata da una grande voglia di fare la sua parte. Era un essere umano che avrebbe anche saputo distinguersi per il suo interesse verso gli altri, verso gli animali. Era una ragazza piena di qualità positive, una 18enne che aveva tutto il diritto di continuare a vivere la sua vita e qualcuno ha deciso che così non dovesse andare”.
Gaetano Evangelista, Santino Tuzi, Carmine Belli, Guglielmo Mollicone. Sono quattro personaggi che, a vario titolo - come inquirente, come testimone interrogato, intercettato e poi suicida, come accusato assolto e come padre della vittima, sono entrati nel caso. Quali di queste figure ha avuto un ruolo maggiore nella ricerca della verità?
“Credo che tra queste persone Guglielmo non possa passare in seconda fila. Ma Evangelista è un’altra figura centrale, subito dopo Guglielmo è stato determinante. Se non fosse stato per lui forse oggi non saremmo al processo. Il ruolo di Tuzi non lo vedo francamente molto favorevole, l’ho detto a dibattimento e l’ho scritto nel libro. Non mi sento di considerarlo un eroe di questa vicenda”.
Ma un’intercettazione di Tuzi è eloquente.
“Santino Tuzi il vero contributo lo dà nell’intercettazione con Annarita Torriero (con cui avrebbe avuto una relazione, ndr) poco prima di essere sentito dagli inquirenti il 28 marzo del 2008. Quello è l’unico momento in cui Santino Tuzi - suo malgrado, perché non sa di essere intercettato, quindi non ha nessuna volontà reale di collaborare in quel momento - dice la verità. Ma poi c’è un balletto di versioni. Sicuramente lui ha detto la verità quando colloca Serena all’interno della caserma, ma non tanto agli inquirenti bensì quando parla con la Torriero. Quell’intercettazione è, a mio vedere, il cuore del processo”.
Risultati delle autopsie, licheni, impronte mancanti. Sono alcuni dei dati più o meno certi - salvo il rito statistico del margine di errore - delle indagini. Con cosa è necessario siano incrociati per arrivare alla verità?
“I dati disponibili, incrociati in maniera debita, non lasciano spazio a molte valutazioni alternative, io credo. La morfologia della lesione al cranio di Serena, la perfetta coincidenza con il danno alla porta, la presenza di frammenti lignei riconducibili a tutti gli strati della porta presenti sul nastro adesivo che avvolgeva il capo di Serena… non mi pare ci sia molto altro da discutere dal punto di vista scientifico”.
Ha delle possibili previsioni per questo processo d’appello?
“Io, francamente, sono ottimista. Spero di non sbagliarmi ma credo che stavolta arriveremo a una condanna. Questa è la mia previsione/auspicio”.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.