
Solo i giornali salveranno la libertà di parola. Ormai è una gara a chi censura di più. Una gara, per il dibattito pubblico, drammaticamente al ribasso. Centocinquanta aziende - tra le quali Coca Cola e Adidas, giusto per rendere la portata dell'evento - hanno deciso di sospendere gli investimenti pubblicitari su Facebook e Twitter. Il motivo è tanto semplice quanto fumoso: fermare la diffusione dell'odio in rete. E, secondo le occhiute guardie di frontiera del politicamente corretto, il principale veicolo dell'odio sarebbero proprio i social network. Il problema è che nessuno sa bene dove inizi e dove finisca questo benedetto confine e, sempre più spesso, le opinioni fuori dal mainstream vengono derubricate come «incitazione all'odio» e, di fatto, squalificate dall'agorà digitale. In queste pagine, più di una volta, abbiamo denunciato l'eccesso di zelo da parte dei colossi statunitensi nel censurare e perfino chiudere i profili «controcorrente». Ora ci troviamo a trattare Facebook come un baluardo di libertà: uno scherzo del destino che è anche una nitida istantanea di come si stia espandendo velocemente il morbo del politicamente corretto e di quanto si stia comprimendo sempre più lo spazio della libertà di espressione. Possiamo lasciare decidere cosa può o non può avere libera circolazione intellettuale a multinazionali come Starbucks o Coca Cola? No ma, parimenti, non possiamo lasciare questo potere neppure a Facebook. Secondo il Financial Times, Facebook e Twitter rischiano di perdere il 90 per cento dei loro introiti pubblicitari in seguito a questa mobilitazione di odiatori al rovescio. Il pragmatismo ci porta a immaginare che Zuckerberg e Dorsey dovranno accettare, in un modo o nell'altro, il diktat di chi li copre di denaro. E quindi il mito delle reti sociali come strumento di libertà planetaria andrà definitivamente alle ortiche. In una imprevista eterogenesi dei fini, il massimo della volatile e virtuale modernità ci riporta alle «antiche» tradizioni. Sì, perché se i social possono ospitare solo il coro monocorde del politicamente corretto, vorrà dire che il canto polifonico di chi ama stare fuori dal coro finirà altrove. Prima di tutto sui giornali, on line ma soprattutto cartacei, dove il criterio di pubblicazione della notizia lo decide un direttore e non l'amministratore delegato di una ditta di bibite gassate, come sognano i palloni gonfiati del buonismo multinazionale.
I giornali di carta non possono essere «bloccati» da un algoritmo o da un motore di ricerca, li possono «bloccare» solo i loro lettori, smettendo di acquistarli. Sono, e saranno sempre di più, una preziosa isola di libertà.
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Darth
3 Lug 2020 - 17:42
"I giornali sono una preziosa isola di libertà". I giornali offrono una loro interpretazione dei fatti: quella del Giornale è diversa da quella di Repubblica o del Corriere o del Mattino. Non sono le uniche interpretazioni possibili, e proprio per questo, per salvaguardare l'"isola di libertà", è bene che anche le altre interpretazioni abbiano voce. I social hanno avuto importanza nel dare voce alle altre interpretazioni, e ciò ha consentito grandi successi altrimenti impossibili come la Brexit o la vittoria di Trump, che se l'informazione fosse rimasta confinata ai giornali non avrebbero mai potuto prender piede - altro che isola di libertà... Quanto alla brutta piega che stanno prendendo i social, penso sarebbe ora di rispondere per le rime con campagne di boicottaggio verso Coca Cola, Adidas e gli altri che vogliono imporci la loro morale.





