Sono passati due mesi da quando, in piena emergenza sanitaria dovuta al coronavirus, è stato emanato il primo decreto del presidente del Consiglio dei ministri che sanciva il lockdown. Ferme le attività, gli italiani hanno chiuso le porte delle loro abitazioni per proteggersi da un nemico esterno la cui caratteristica principale era ed è quella di essere invisibile per consentire alle vittime di potersi difendere. E chi invece il nemico contro cui lottare e difendersi lo aveva già in casa? Cos’è successo in questo periodo a tutte quelle donne che si sono ritrovate nelle mura domestiche con i propri mariti o compagni violenti dai quali prima riuscivano ad allontanarsi con la scusa di andare a trovare un parente? Arrivare alla denuncia non è un obiettivo semplice da raggiungere. Il percorso è fatto da mille ostacoli e le notizie di cronaca ce lo insegnano.
E la chiusura in casa con il proprio aguzzino per tutto questo tempo ha reso la vita di molte donne un inferno. A darci conferma di quanto sia accaduto nelle abitazioni più sfortunate è Elisabetta Aldrovandi, presidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime e garante per le vittime della Regione Lombardia. “Durante la quarantena - ci dice il presidente Aldrovandi - i casi di violenza domestica sono aumentati del 74,5% in tutto il territorio nazionale. Fra questi, il 28% è stato rappresentato da vittime che fino ad ora erano a noi sconosciute e che proprio in questa fase di lockdown si sono ritrovate a vivere una situazione difficile”.
Da un lato il numero delle vittime di violenza è aumentato e, di conseguenza, dall’altro sono diminuite le chiamate di aiuto Telefono Rosa 1522: “In questi due mesi - racconta Elisabetta Aldrovandi - le telefonate al 1522 hanno avuto un calo del 55% perché le donne vittime di violenza, coi loro mariti in casa, hanno avuto difficoltà a chiedere aiuto”.
Dalla raccolta di questi dati allarmanti l’Osservatorio in questione ha ideato un’iniziativa che consente alle vittime di chiedere aiuto in “silenzio”. Come? Andando in farmacia con la richiesta della “mascherina 1522”. Si tratta di un codice che permetterà di segnalare eventuali violenze subite e ricevere adeguate informazioni. A partire da questo momento sarà il farmacista a chiedere all’interessata di cosa ha bisogno in concreto cercando di aiutarla. L’iniziativa è nata prima con un appello rivolto alle farmacie, poi si è concretizzata con un coinvolgimento del Dipartimento Pari Opportunità e di Federfarma che hanno siglato un protocollo. In questo modo la vittima potrà anche compilare un modulo presso quelle farmacie che lo metteranno a disposizione. Il documento verrà poi trasmesso alle forze di polizia. Quest’ ultime saranno così in grado di poter adottare le azioni necessarie per porre fine alla violenza.
Non è facile capire in fondo cosa possa vivere una donna in quelle situazioni o cosa le passi per la mente. A farci immergere in quei momenti, trasmettendoci le sensazioni di impotenza che si provano in quei frangenti, è la testimonianza di una donna vittima dell’inaudita violenza del proprio compagno. Stiamo parlando di Lidia Vivoli, una donna di origini palermitane che la notte del 24 giugno del 2012 stava per essere uccisa dal compagno. Erano a letto, ore 1:45, all’improvviso lui si è allontanato per ritornare con una bistecchiera di ghisa tra le mani con la quale l’ha colpita alla testa.
“Ma non è finita lì - ci dice Lidia Vivoli - mi sono alzata stordita chiedendo il perché di quel gesto e lui con delle forbici ha iniziato a pugnalarmi usandole come se fossero coltello. Mi ha colpito alla schiena, mi ha aperto l’arcata sopraccigliare fino allo zigomo. Ho avuto una paura fortissima- aggiunge Lidia- volevo fuggire ma lui mi ha preso per i capelli e col filo dell'abat-jour ha cercato di soffocarmi. Poi ha cercato di conficcarmi nel basso ventre le forbici ma non è riuscito. Lì credo mi abbia aiutato Dio”. La voce di Lidia trema ancora quando ci racconta la sua storia seppur vissuta otto anni fa. Ci confessa che ogni sera, appena a letto pensa sempre alle “ 1:45”. Un orario che le ricorda quanto accaduto, per non parlare degli incubi notturni e delle paure che vive in alcuni momenti della giornata quando esce di casa.
“Non si può dimenticare come se nulla fosse mai accaduto, una parte di noi muore”, ci dice Lidia nel suo racconto. “Appunto per questo motivo-prosegue- metto la mia testimonianza a disposizione di tutte, voglio che fatti del genere non accadano più”.
Lidia ci spiega i primi sentori che portano a capire di avere al fianco un uomo violento e ci dice che “Bisogna aprire gli occhi”. Poi racconta i primi momenti di aggressione: “Ci sono stati due episodi prima del 24 giugno, ma subito dopo mi aveva chiesto scusa in ginocchio ed io ho pensato che forse dovevo dargli un’altra possibilità, ero confusa ed è proprio questo lo sbaglio commesso". Dunque, partendo da questo errore, Lidia oggi aiuta tante donne a reagire prima che possa accadere l’impossibile. Diventata ormai un volto simbolo della lotta contro la sopraffazione dell’uomo verso la donna, riceve al giorno numerose telefonate o messaggi di persone che le chiedono consigli su come comportarsi e come chiedere aiuto. In questa fase di lockdown le richieste su come doversi comportare hanno tempestato il suo telefonino attraverso dei messaggi. Non potendo parlare al telefono, i messaggi sono stati gli unici strumenti usati dalle vittime per chiedere supporto.
“Nessuno ha il diritto di toglierci la libertà, il sorriso e la gioia di vivere. Nel momento in cui vi sentite a disagio-afferma Lidia- o qualcuno vi vieta di fare ciò di cui avete vogli,a dovete fuggire prima possibile. Si inizia spesso con una violenza verbale e psicologica. Mel momento in cui la donna si ribella l’uomo reagisce in modo violento”.
L’ex compagno di Lidia, al momento è libero, non molto distante da lei, e questo le mette senza dubbio paura ogni volta che si sposta da casa. “Mi piacerebbe poter parlare col ministro della Giustizia- ci dice-perché credo che ci siano degli elementi da attuare per fornire un aiuto concreto alle donne vittime di violenza. In primo luogo bisogna mettersi a disposizione delle vittime senza giudicare. Poi, necessita un supporto concreto: ad esempio dare alle vittime un lavoro e una casa per un periodo determinato, il tempo di riprendersi e poter poi camminare poi con i propri piedi. Ma è fondamentale non togliere i figli a chi denuncia”. Lidia sta attuando inoltre una petizione affinché le donne vittime di violenza rientrino nell’ambito della “categoria protetta”.
Il cammino per poter tutelare le donne dalla violenza domestica è ancora lungo, soprattutto a causa di lacune la cui importanza non è da trascurare.
Di certo è che le prime armi di difesa delle donne sono nelle loro stesse mani, ovvero quelle di non abbassare la guardia al primo atto violento che subiscono ed esporre la relativa denuncia. In un momento come quello attuale, causato dall’emergenza sanitaria, in cui gli spostamenti sono limitati e denunciare è più difficile, la situazione è allarmante e i numeri parlano chiaro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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