Così si è arrivati allo sbarco dei migranti della Mare Jonio

Problemi sanitari ma anche peggioramento repentino delle condizioni climatiche: ecco come si è giunti alla fine di cinque giorni contrassegnati dal braccio di ferro tra Ong Mediterranea e governo uscente

La Mare Jonio ancorata a Licata a giugno quando era ancora sotto sequestro
La Mare Jonio ancorata a Licata a giugno quando era ancora sotto sequestro

Inizia tutto circa una settimana fa quando, a largo della Libia, la nave Mare Jonio raccoglie a bordo complessivamente 98 migranti. Da allora prende il via l’ennesimo tira e molla con il governo italiano, nel frattempo però dimissionario per via della ben nota crisi innescata a cavallo di ferragosto.

Il “duello” tra autorità ed Ong Mediterranea Saving Humans, proprietaria della Mare Jonio, è forse quello più importante sotto il profilo meramente politico: un’organizzazione non governativa italiana che bussa alle porte delle acque territoriali italiane mentre, in quel di Roma, il ministro dell’interno Matteo Salvini fa le valigie dal Viminale. Ecco perché la vicenda suscita particolare interesse.

Cinque giorni in mare, cinque giorni di intenso scontro politico nel bel mezzo delle consultazioni. Del resto il primo braccio di ferro di questo 2019 sul fronte dell’immigrazione, lo innesca proprio un salvataggio effettuato dalla Mare Jonio nel marzo scorso, con l’equipaggio del mezzo che in quell’occasione forza il blocco imposto dal governo italiano.

In questo caso, non si ha alcuna forzatura con l’Ong che mantiene la propria nave al di fuori delle acque territoriali italiane ma che, al tempo stesso, giorno dopo giorno crea pressione politica e mediatica per arrivare all’obiettivo di sbarcare a Lampedusa o comunque in un porto italiano.

A poche ore dall’inizio del braccio di ferro, 64 migranti vengono trasferiti subito a Lampedusa: tra loro molti minorenni e molte donne, oltre a persone bisognose di cure. La “disputa” dunque coinvolge direttamente 34 migranti.

La strategia della Mediterranea appare la medesima di quella utilizzata da altre Ong in questi mesi: fare riferimento all’impossibilità di mantenere calma la situazione per attivare, nel giro di pochi giorni, un vero e proprio pressing al fine di favorire lo sbarco.

L’Ong, in particolare, sotto il profilo politico sembra poter questa volta essere favorita dalla crisi di governo ma, a differenza di quanto prospettato alla vigilia, a firmare il divieto di ingresso nelle acque italiane non è soltanto il ministro Salvini, bensì anche Elisabetta Trenta e Danilo Toninelli, rispettivamente a capo dei dicasteri di Difesa ed Infrastrutture. È forse questo il punto politico principale che emerge da questo caso: nel bel mezzo delle trattative con un PD che, al contrario, da subito inizia a chiedere lo sbarco della Mare Jonio, il Movimento Cinque Stelle mantiene la linea fino a quel momento avuta con la Lega al governo. Anche lo stesso presidente del consiglio dimissionario ed incaricato, Giuseppe Conte, non interviene sulla vicenda.

Al secondo giorno in mare, dalla Mare Jonio si inizia poi a lamentare la rottura della pompa dell’acqua e dunque la quasi totale impossibilità di avere rifornimenti a bordo. Caduta la possibilità di una sponda politica, la Mediterranea sembra quindi puntare su una sponda del mondo giudiziario evocando il precedente molto recente della Open Arms. Quest’ultima è l’Ong spagnola che, dopo 19 giorni trascorsi a largo di Lampedusa, si vede decretare il via libera allo sbarco del proprio mezzo da parte della procura di Agrigento per motivi di ordine sanitario.

E così anche la Mare Jonio rimane a largo delle acque territoriali italiane, provando a far puntare i riflettori sulla situazione igienico sanitaria. Nel frattempo, arriva nei confronti di Mediterranea la solidarietà del segretario del Pd, Nicola Zingaretti, e dei vertici di LeU. La questione quindi diventa preminente nel momento delle sopra citate trattative per la formazione del nuovo governo.

La situazione subisce un rapido mutamento nelle ultime ore: né il mondo giudiziario e né il mondo politico, a dare una mano all’Ong italiana sono le condizioni metereologiche, è grazie soprattutto a questo che si ha la fine dello stallo. Tra la Sicilia e Lampedusa il clima vira pesantemente verso l’autunno, arrivano i temporali e diviene quasi impossibile poter rimanere a largo.

Dopo l’evacuazione di tre migranti avvenuta nel pomeriggio di domenica, si decide quindi per lo sbarco di tutte le 31 persone rimaste a bordo nella mattinata di lunedì. Decisiva un’ispezione del Ministero della Sanità, il quale a bordo invia alcuni medici dopo la segnalazione di cinque casi di scabbia. Tra problemi sanitari e l’oggettivo riscontro di un probabile ulteriore peggioramento delle condizioni climatiche, si decide quindi il trasbordo dei 31 migranti in una motovedetta della Guardia Costiera. Da qui tutti dovrebbero essere trasferiti, nell’immediato, sull’isola di Lampedusa dove intanto, considerando anche il numero elevato di migranti arrivati con sbarchi autonomi, sul fronte dell’accoglienza si rischia una nuova emergenza.

Finisce così dunque l’ennesimo tira e molla politico tra una Ong ed il governo uscente. Nel frattempo altre navi di altre Ong sono a largo della Libia, mentre a Roma un nuovo esecutivo si accinge ad essere formato. La situazione dunque è ben lontana da ogni normalità.

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