Questa è una terra fragile, aggrappata al fatalismo. È come una vecchia casa che da una vita non riceve lavori di manutenzione. Ti accorgi che giorno dopo giorno sta cadendo a pezzi. I muri non reggono, le scale crollano, le fondamenta marciscono e quando piove senza tregua per troppe ore si allaga tutto e scende il fango e le montagne ti franano addosso. Quando il suolo trema è anche peggio, non ti resta neppure il tempo per una preghiera. Non è l'apocalisse e neppure una maledizione. È l'usura di un posto chiamato Italia.
È successo tutto molto in fretta. In meno di un secolo una civiltà contadina si è ritrovata post industriale. È una corsa che non poteva avvenire a costo zero. Tutto questo senza pensare troppo al futuro, anzi, addirittura impantanandosi in un eterno presente. È così che ci si è limitati ad assistere alla caduta, a questo continuo andare in malora, con la calamità che diventa rito del dolore. Il giorno dopo ci si straccia le vesti, si recrimina, si bestemmia sul clima o si alza il coro di chi reclama la rivolta benedetta di madre natura e poi si punta il dito, si cercano capri espiatori, si improvvisano processi, si gioca alla fine del mondo, in un continuo rimbalzo di millenarismi e consumate ideologie. Si seppelliscono i morti e poi tutto si placa. La casa intanto sta lì, un po' più malandata di prima, con la manutenzione che ormai non basta più, perché si è andati oltre. Le parole da sole non aggiustano nulla.
Adesso servirebbero interventi strutturali, profondi, una di quelle imprese da lasciare alle prossime generazioni. L'Italia va pulita e ricostruita, da Sud a Nord, da Est a Ovest, pezzo a pezzo. Come fare? Dove trovare i soldi? L'occasione in realtà ci sarebbe dovuta essere. Next Generation. Il territorio è il patrimonio più importante da affidare alle prossime generazioni. Il piano nazionale di ripresa e resilienza forse doveva partire proprio da qui. Il territorio incarna il valore fondante di tutti i partiti italiani. È terra. È ambiente. È cittadini. È autonomia. È tradizione. È madrepatria. Il territorio come architrave del Pnrr. Non lo è. Certo, ci sono 2,6 miliardi per non sentirsi in colpa. Ce ne sono altri 6 destinati ai Comuni, che non sanno come farli diventare realtà. Quello che manca è il progetto politico.
I partiti avrebbero dovuto riconoscersi in una sorta di «Costituente per il territorio». È come riscrivere una Carta, solo che in questo caso non si parla di leggi, ma di fiumi e monti, di paesi e vallate. Il piano, scritto ai tempi del Conte bis e perfezionato da Draghi, non è stato invece disegnato per ristrutturare alla radice questa casa malandata. Non ha questo orizzonte e questa ambizione. È una serie di interventi e progetti buttati lì in modo piuttosto casuale, un tentativo di accontentare un po' tutti i gruppi di pressione, gettando miliardi dove serve, dove si deve e dove si può con la speranza di riuscire a spenderli tutti. L'importante è generare ricchezza con una montagna di soldi europei, in gran parte da restituire.
È la logica dello scavare buche e riempirle per stimolare la domanda e creare occupazione. Non c'è il piano. Non c'è l'impresa. Non c'è qualcosa da lasciare a chi verrà dopo. È il limite del Next Generation italiano. Non è pensato per il futuro.
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