La notizia che Giorgia Meloni ed Elly Schlein dopo molto tempo si sono riavvicinate (se mai sono state vicine) ha una sua rilevanza politica tutta italiana, ma dà anche l'idea di quanto il loro punto di convergenza i morti e la crisi nella regione di Israele abbia raggiunto una tale gravità da non consentire più di perdersi in schermaglie e divisioni di piccolo commercio.
Nessuno potrà mai porre in dubbio l'intransigenza di questo governo a fronte delle raccapriccianti modalità dell'attacco di Hamas del 7 ottobre scorso, e tantomeno potrà essere negata una coerenza di posizione che non ha vacillato neppure dopo i vaniloqui dell'Onu (la reazione israeliana equiparata a un genocidio) o a margine dei puntuali deliri «woke» che hanno ri-trasformato l'anti-ebraismo in una moda globale. Nessuno tuttavia può negare che Giorgia Meloni ed Elly Schlein abbiano sempre convenuto sulla soluzione politica dei «due popoli due Stati», sdegnosamente respinta dal premier Benjamin Netanyahu, e nessuno può negare che l'incoraggiare un immediato «cessate il fuoco» nella Striscia di Gaza fosse e resti l'unica cosa da fare: da qui la telefonata e i colloqui tra Meloni e Schlein, e, ieri alla Camera, la conseguente approvazione di una mozione del Pd che per Gaza ha invocato il silenzio delle armi e una volontà di scuotere le coscienze senza più divisioni di sorta. Così è stato, così è.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani aveva già detto chiaramente che «la reazione di Israele è sproporzionata, ci sono troppe vittime che non hanno nulla a che fare con Hamas» e che Israele dunque deve «evitare rappresaglie contro i civili palestinesi».
Questo perché, ormai, è dall'inizio di gennaio che i dubbi e le insofferenze occidentali (le posizioni dei Paesi arabi non fanno testo) non riguardano più la guerra, ma il modo in cui Israele la conduce: anche l'opinione pubblica statunitense, di gran lunga la più filoisraeliana, si è accorta che in nessun'altra operazione nella Striscia si era mai visto niente del genere: nel 2014 l'invasione di terra durò due settimane, ora siamo entrati nel quinto mese. Nelle sue comunicazioni ai cittadini, Netanyahu seguita a dire che la guerra andrà avanti con tutta la durezza necessaria: ma necessaria a che cosa?
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