Il dibattito politico che si è aperto sulla cittadinanza agli immigrati di seconda generazione e sulla condizione delle carceri è una buona notizia, anche sotto il profilo politico. Sono due problemi concreti, reali, che chiamano in causa la capacità dell'Italia di difendere i valori costituzionali e di organizzare il suo futuro. Il significato rieducativo della pena, i diritti di chi è cresciuto nel nostro sistema di regole, istruzione, valori, e tuttavia è trattato da «straniero» ogni volta che deve rinnovare un documento o affrontare un passaggio burocratico. Non è un caso che la discussione sia stata rilanciata dalle prese di posizione del mondo moderato, che ha sempre guardato con pragmatismo alle questioni del Paese e che ha come faro un principio semplice: prima le persone, poi l'ideologia e i distinguo identitari.
Sarebbe opportuno, per tutti, riconoscere due dati fondamentali in questo dibattito. Il primo: il tema delle carceri e quello della cittadinanza non possono essere affrontati nella logica delle «bandierine». Lo ha fatto la sinistra, in passato, arrivando quasi all'approvazione dello Ius Culturae e poi affondandolo per timore di un contraccolpo elettorale guidato dalle destre. Lo hanno fatto le destre quando, con la recente riforma delle carceri, hanno eluso il tema del sovraffollamento per paura di scontentare il loro elettorato «legge e ordine» anche se erano perfettamente consapevoli dell'assoluto disastro dei penitenziari, tra suicidi e rivolte. Superare questo approccio, e vengo al secondo dato, è indispensabile davanti a questioni di portata emergenziale come queste. Lo fecero i padri fondatori della Repubblica affrontando questioni sociali ineludibili come il divorzio e l'aborto, con leggi controfirmate da premier democristiani che pure avevano idee di principio diverse. Lo abbiamo fatto anche noi nei passaggi più delicati della crisi economica, quando i capi di partito sostennero e votarono norme di salvataggio che non erano nei progetti di nessuno ma risultavano indispensabili a mandare avanti l'Italia. Recuperare questo spirito, dunque. E non trincerarsi dietro la formalità dei programmi che come succede sempre anche in questa legislatura sono stati largamente rimaneggiati in ossequio al principio di realtà, altrimenti avremmo già in corso blocchi navali, flat tax, quota cento e ogni altra promessa spesa in sede di campagna elettorale. Al Paese serve un campo di riforme condivise, che non possano essere usate da una parte per bastonare l'altra perché tutti avranno dato il loro contributo: su carceri e cittadinanza credo che questo spazio possa essere trovato visto che ogni forza politica, in passato, ha generato proposte ragionevoli e molto simili per affrontare entrambi i problemi.
Lo Ius Scholae di cui si discute non è un tema «immigrazionista», anzi è un potente antidoto alle sacche di clandestinità e di rifiuto dell'integrazione. La destra politica sa benissimo che i ghetti generano solo diffidenza reciproca, se non odio e violenza. Tante volte ha fatto riferimento al suo passato di comunità esclusa come a un fattore sciagurato per la democrazia, e infatti solo due anni fa si esprimeva in favore della cittadinanza ai ragazzi che avevano assolto l'obbligo scolastico in Italia per dieci anni. Cosa è cambiato da allora? E la sinistra, che rilancia posizioni estremiste sulla cittadinanza a chiunque sia nato in Italia, vuole cambiare le cose o soltanto generare l'ennesimo scontro improduttivo? Sulle carceri valgono simili domande: quanti suicidi, quante rivolte, che percentuale di persone private della libertà in attesa di processo ci servono per decidere che si è passato il segno? Possiamo sopportare che in Italia esista un'enclave, i penitenziari, dove i diritti costituzionali alla salute e alla vita sono sospesi?
Ecco perché il campo di dibattito aperto dai moderati va coltivato con energia e orgoglio. Non è il solito teatrino, riguarda questioni essenziali della nostra democrazia, può migliorare l'Italia.
Poi, su tutto il resto, il nostro bipolarismo può continuare a dividersi su visioni contrapposte che esistono, sono innegabili e a lavorare in direzioni alternative, ma deve esistere una sfera dove si agisce sulla base del principio di responsabilità: da italiani prima che da portatori di interessi elettorali o di potere.*presidente di Azione
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