Piuttosto che evocare bavagli alla Grande Fratello, sindacati e dipendenti della pubblica amministrazione dovrebbero preoccuparsi di non sgarrare nel reality quotidiano del «Grande Sportello», quando cioè hanno a che fare con il cittadino che paga loro lo stipendio. Proprio così, perché tra le misure urgenti approvate dal governo per l'attuazione del Pnrr, c'è anche l'aggiornamento del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (in linguaggio burocratico, il Dpr 62 del 2013). Con la novità sostanziale di una sezione dedicata all'utilizzo dei social network per tutelare l'immagine della Pubblica amministrazione. È previsto, inoltre, lo svolgimento di un ciclo di formazione sui temi dell'etica pubblica e del comportamento etico per i neoassunti, «la cui durata e intensità sono proporzionate al grado di responsabilità».
Insomma, non solo è preferibile che un impiegato statale non passi la maggior parte dell'orario d'ufficio su Facebook o Instagram, ma soprattutto che nel tempo libero impari a usare le piattaforme dei social network con giudizio e moderazione. Come per tutti, la libera manifestazione del pensiero ha un limite e coincide con l'educazione (civica). Il colmo di tutta questa faccenda sta nel fatto che le norme appena varate puntano a proteggere la stessa pubblica amministrazione da quei dipendenti che sono soliti lanciare invettive corredate da espressioni molto colorite - eufemismo - nei confronti dell'ente o istituto di cui fanno parte. Oggi sperimentiamo il paradosso di sapere poco delle competenze e del profilo professionale di chi siede alla scrivania di un ufficio pubblico, mentre magari conosciamo per filo e per segno le sue convinzioni politiche (non richieste), cosa ne pensi dell'obbligo vaccinale o dell'invasione russa in Ucraina. Che ci piaccia o no, le bacheche online sono il nostro curriculum vitae a cielo aperto. Del resto, basterebbe il buonsenso per evitare ossessioni di controllo e polemiche pretestuose.
Giusto il mese scorso, il Tar della Sardegna ha stabilito che è legittimo prendere provvedimenti disciplinari, compreso il licenziamento, nei confronti del dipendente pubblico che denigra i suoi superiori addirittura in una chat di Whatsapp. Di questi tempi, bisogna farsene una ragione e saper contare fino a dieci prima di sfogarsi sui social. Dopotutto non è il caso di perdere il posto (pubblico) per colpa di un... post.
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