Per un attimo, di fronte agli incresciosi atti di apologia di fascismo che serpeggiano nel Paese, temevamo che la Giustizia rispondesse in modo impotente e confuso. E, invece, con raro tempismo giuridico, a una settimana dal 25 aprile, l'ora delle decisioni irrevocabili è arrivata! La Cassazione, in merito a un processo per otto militanti di estrema destra, ha stilato - con cristallina coerenza e lucidità - un preciso vademecum per valutare se il saluto romano sia, o no, reato. Bene. Per deciderlo vanno considerati il contesto (una festa di Carnevale non è una riunione di Ordine nuovo), la valenza simbolica del luogo (una cosa è farlo sui social, un'altra sui colli fatali di Roma), la «ricollegabilità al periodo storico» (farlo il 28 ottobre, anniversario della Marcia, è più grave?), il numero dei partecipanti (occorre distinguere tra un cretino e otto milioni di baionette), e comunque «il saluto romano può essere reato anche quando fatto a fini commemorativi». Il problema è che se «può esserlo», può anche «non esserlo». E, soprattutto, per quei Mustelidi degli ermellini «non è reato se si tratta di manifestazioni esteriori». Domanda: quali sono quelle interiori?
Vabbè.
Mancano il goniometro per calcolare i gradi di elevazione del braccio e la scala RAL per determinare la tonalità del nero della camicia, e poi ci siamo. Viene da dire «Me ne frego!».E così, con l'approssimazione e la pavidità tipiche del popolo italiano, alla fine non abbiamo fatto né chiarezza né Giustizia.
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