Ultima puntata del nostro viaggio nello stato di salute del vino italiano attraverso i miei assaggi dell’ultimo Vinitaly, conclusosi una settimana fa a Verona. Dopo la prima cinquina, oggi cinque altri assaggi di rossi. Vediamo quali.
Ladame 2022 Tenuta Liliana
Imprenditore visionario, vicesindaco di Milano in una stagione di grandi sfide per la città, all’inizio degli anni Novanta dello scorso secolo, Antonio Intiglietta vive la sua attività agricola dedicata alla moglie nel cuore del Salento come un’oasi di pace. Ciò non toglie che anche in questo caso cerchi di fare il massimo che il terroir consente, in questo caso un Cabernet Sauvignon da uve coltivate in contrada Specchia, a 200 metri di altezza, su terreni di natura calcarea sempre accarezzati da una vivificante brezza. Il vino, di cui ho assaggiata l’annata in corso e anche la precedente, la 2021, è affinato per sei mesi in barrique e tonneaux francesi e americane ed è enciclopedico al naso e grandioso in bocca per eleganze, potenza e persistenza. La produzione è ancora minima, all’incirca una decina di migliaia di bottiglie, ma dovrebbe crescere in futuro anche grazie a delle coraggiose operazioni di crowdfunding. La cantina, bellissima, è ricavata da una vecchia cava di tufo.
Ripassa Valpolicella Sup 2020
Zenato Ripassa e non Ripasso, perché si tratta di un vino dinamico che quindi viene fotografato in azione, questo vino tradizionale e supercontemporaneo che ha la capacità di piacere davvero a tutti anche perché questo vuole essere, consapevole della sua bontà. Le uve passite dell’Amarone vengono appassite e poi “ripassano” sulle stesse vinacce dando vita alla seconda fermentazione che irrobustisce grado alcolico e profumi. Poi 18/20 mesi in tonneaux e sei mesi in bottiglia. Colore rosso rubino carico, naso ricco di frutti rossi e leggermente balsamico, bocca piena e soddisfacente. L’azienda Zenato, creata nel 1960 da Sergio Zenato e oggi condotta con mano ferma dai figli Alberto e Nadia, ha due anime: quella della Valpolicella, e quella di San Benedetto di Lugana, dedicata ai grandi vini bianchi del Garda.
Concerto 2021 Mazzei
Filippo e Francesco Mazzei portano avanti la tradizione di questa azienda storica, che affonda le sue radici nel Castello di Fonterutoli fin dal 1435 e che vive l’albero genealogico come una robusta pianta ubertosa. Tre gli “hotspot” aziendali, oltre a Fonterutoli nel Chianti Classico, ci sono Belguardo in Maremma e Zizola a Noto, in Sicilia. Il Concerto è un uvaggio di Sangiovese e Cabernet Sauvignon (con il primo in netta prevalenza) realizzato a Fonterutoli per la prima volta nel 1981 e che ha conosciuto una storia di crescite e stop. Resta un vino innovativo, che nei primi anni Ottanta anticipò la moda dei Supertuscan e che quattro decenni dopo è ancora di grande espressività. Fa diciotto mesi in piccoli fusti di tonneaux (il Sangiovese) e barrique (il Cabernet Sauvignon). L’annata 2021, l’ultima prodotta, è prodotta in 35mila bottiglie, ha un naso di frutti rossi, ribes, con un piacevole tono balsamico, e una bocca al contempo potente e raffinata, di inconsueta lunghezza. Un grande di Toscana.
Edizione Cinque Autoctoni 2020 Fantini
Un grande gruppo che ha il suo cuore in Abruzzo, terra di origine di Valentino Sciotti, che ne è il fondatore e amministratore delegato, e che ha aziende in altre sei regioni centromeridionali: la Toscana, la Campania, la Puglia, la Basilicata, la Sicilia e la Sardegna, oltre alla Spagna. Ovunque con un modello di business decisamente originale, fondato sul non possesso dei vigneti, sulla custodia del terreno, sul finanziamento e la rivitalizzazione di aziende in crisi ma dal grande potenziale, sulla forte innovazione anche finanziaria, con il ricorso alla “private equity”. La summa di questo lavoro è il Cinque Autoctoni, un insolito vino da tavola a vocazione internazionale realizzato con un blend di cinque vitigni del Centro-Sud: Montepulciano, Sangiovese, Primitivo, Negramaro e Malvasia Nera. L’affinamento avviene per dodici mesi in barrique di rovere nuove, perché questo è un vino che non ha paura del legno. Naso di frutti rossi, spezie dolci, vaniglia, cacao, liquirizia, bocca imponente ma con tannini morbidi. Da bere subito o da lasciar invecchiare a lungo.
La Poia 2018 Allegrini
Una cantina di grande tradizioni della Valpolicella classica, antesignana del territorio, ma che riparte da capo, dopo complesse vicende familiari che hanno azzerato la governance e portato a una nuova filosofia produttiva. I vigneti sono sparsi nei migliori “outlet” della Valpolicella Classica, come Fieramonte, Marezzane, Villa Cavarena, La Grola e La Poja. E da quest’ultima tenuta, in Sant’Ambrogio di Valpolicella, arriva l’omonimo vino, una delle bandiere della cantina. Una Corvina Veronese Igt che rappresenta una delle massime espressioni di questo vitigno storico del territorio.
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