Cervi, il ricordo dei colleghi

Il ricordo dei giornalisti del Giornale

Cervi, il ricordo dei colleghi

Un pomeriggio Mario Cervi entra nella mia redazione di allora, cronache-esteri, per chiedere informazioni, scambiare una battuta, sempre in cerca di pareri e aggiornamenti com'era. Noi siamo riuniti per discutere i pezzi da fare e lui col solito garbo si scusa per l'interruzione e sorridendo sornione butta lì: "Volevo chiedervi un'informazione... ma questo punto G di cui si parla tanto...". Restiamo tutti pietrificati dall'imbarazzo. Io balbetto qualcosa mentre atterrisco all'idea di dover illustrare l'argomento a un anziano e distinto signore e codardamente rivolgo uno sguardo implorante alle colleghe, la mia vice, Valeria Braghieri, prende coraggio e attacca a spiegare "Senti, direttore...". Lui, sempre senza scomporsi, la ferma specificando che sapeva cos'era, chiedeva solo se ricordassimo l'origine del nome, "punto G". Con un sospiro di sollievo collettivo ci rivolgiamo a internet.... Ovviamente è un episodio che non rende il valore di un grande giornalista, testimone della Storia che conta, con esperienze ai quattro angoli del mondo, dalla Grecia al Cile di Allende, ma mi piace ricordare con un sorriso l'uomo spiritoso, curioso e umile che era. Addio direttore. GIUSEPPE MARINO

La tua onestà intellettuale e la tua etica del lavoro hanno impresso, giorno dopo giorno, un'impronta indelebile nella mia vita professionale. Oggi sarai parte dei ricordi incancellabili. RICCARDO PELLICCETTI

"Era chiaro il pezzo?". "Si capiva bene tutto?": "Se non ti piace cambia pure". Questo era Mario Cervi: un monumento del giornalismo, un protagonista di quasi un secolo di storia italiana, un gran signore che aveva fatto dell'umiltà professionale la sua cifra stilistica. E' stato un onore lavorare con un fuoriclasse che ogni volta ti metteva in imbarazzo, quasi fosse uno dei tanti collaboratori ansiosi di sapere su due piedi se l'articolo appena sfornato andava bene. L'avevo scoperto da ragazzino quando curava la sua rubrica politica su "Gente", quella che ogni settimana per anni ne riportava la foto con il viso liscio e gli occhiali leggermente fumé, accompagnata dalla didascalia fissa "il giornalista Mario Cervi". Poi da adolescente l'avevo rivisto su Telemontecarlo, quando lui, Montanelli e le grandii firme del "Giornale"spezzavano letteralmente il conformismo plumbeo dell'Italia anni '70 consociativa, cattocomunista e devastata dal terrorismo. Fino ad arrivare a lavorarci insieme, come nelle migliori favole dei bambini che sognano di diventare giornalisti. Erano tutti chiari i tuoi pezzi, Direttore, si capiva sempre bene tutto e non c'è mai stata necessità di cambiarci una virgola in tantissimi anni. Grazie di tutte le tue lezioni quotidiane Mario, ora permettimi di chiamarti così. GABRIELE BARBERIS

Un uomo dolce e dal pensiero freschissimo fino alla fine. Addio maestro. PAOLO STEFANATO

Addio direttore Mario. Vedi tu come fare ora, ma se vuoi ancora qualche consiglio sulla macchina, rigorosamente italiana, da comprare, fallo pure. A disposizione. Quando alla fine degli anni '80 ero collaboratore-corrispondente de "il Giormale" dalla provincia di Pavia, sei stato il primo Big che ho conosciuto. Qualche volta, timidamente, da aspirante giornalista di provincia, passavo in Gaetano Negri ad annusare l'aria della redazione di un grande ...quotidiano. E un'estate, entrato in ascensore, sei arrivato con indosso un abito di lino grigio. Dal piano 0 al piano 3, emozionatissimo (ti vedevo sempre in tv con il mitico direttore Indro), in pochi secondi, mi sono presentato e tu, prima di uscire, mi hai risposto sorridendo: "Arrivederci, allora". Quell' "arrivederci" mi ha portato bene, visto che l'anno dopo sono stato assunto alle Cronache italiane de "il Giornale". Per due volte, tenendo due memorabili interventi a braccio, spaziando dalla politica, agli esteri, alla cronaca, allo sport e agli aneddoti di una vita trascorsa spalla a spalla con Montanelli, sei stato ospite del Lions di Garlasco Le Bozzole a cui appartengo. E alla fine della serata eri solito dire: "Nessun disturbo, ma se proprio volete farmi un bel regalo, aiutate con un'offerta il canile di...". Un'altra grande lezione. Grazie. PIERLUIGI BONORA

Umiltà, curiosità, lucidità e chiarezza. Giornalista come pochi. GAIA CESARE

Quella lettera ce l'ho ancora nel cassetto. L'avevo incontrato sulle scale del Giornale e ai quei tempi guidavo la redazione sportiva, quando avevamo l'abitudine di mettere in pagina una letterina dei lettori - poche righe - a cui rispondere. Sette anni fa, ovvero ai suoi 87. Mario Cervi era così, sempre con il cervello in movimento, e d'altronde non sarebbe stato Mario Cervi. Così mi fermò: "Scusami Marco, ho un dubbio. C'è una cosa che non capisco delle regole del calcio, non è che mi metteresti in una delle tue letterine così mi rispondi?". "Ovviamente, Mario", e come si poteva dirgli di noi: lui sapeva benissimo che alla sua età la tendenza era di trattarlo un po' da nonno rinco; e ovviamente sapeva che nessuno poteva rifiutargli nulla. Ma chiedeva sempre con garbo, un po' perché sapeva che io non mi sarei mai permesso di considerarlo rinco e perché lui si considerava un po' nonno. Il nostro. Insomma lo feci: scrissi la letterina e risposi, poi il lavoro andò avanti come al solito e quasi mi dimenticai dell'episodio. Il giorno dopo, arrivato in redazione, trovai una busta del Giornale. La aprii un po' preoccupato e dentro trovai invece una lettera scritta a mano che diceva così: "Grazie Marco per avermi messo nelle tue pagine. Un abbraccio. Mario". Questo era Mario Cervi. E questo è il mio grazie. MARCO PIETRO LOMBARDO

Mi piace ricordarlo quando veniva a Fucecchio, il mio paese di origine, per i vari anniversari o premi su Montanelli alla Fondazione che porta il suo nome, o per la grande mostra del 2009 in occasione del centenario dalla nascita che venne allestita in onore del Direttore. Io cronista agli esordi, seguii l’inaugurazione e mi trovai faccia a faccia con lui che consideravo l’erede di Indro. Poche battute di circostanza utili per scrivere il mio pezzo e saluti. La vita e il caso poi mi hanno portato tre anni dopo a lavorare proprio in via Negri vicino a lui, salito nel frattempo nel suo ufficietto al quarto piano. Qui, nel luogo che consideravo e considero il tempio del giornalismo italiano, ho avuto anche la fortuna di parlare con lui a quattr’occhi per un pezzo che avevo proposto alla rivista Monsieur sull’eleganza di Montanelli nel vestire. Come era suo modo di fare con tutti anche con me fu molto gentile e disponibile e mi regalò aneddoti inediti sulla vita privata di Indro. Quando uscì il pezzo e gli feci avere una copia della rivista dalla segreteria, mi chiamò subito al telefono di redazione per ringraziarmi perché gli era piaciuto moltissimo: “Volevo ringraziarla per il pezzo Fabrizio, è scritto molto bene e anche se alcune cose non le ho dette in quel modo, mi sono piaciute di più come le ha scritte lei”. Un vero signore. Appena agganciata la cornetta salii subito al quarto piano nel suo ufficio per ringraziarlo di persona e stringergli la mano. Lo trovai, giacca e cravatta come ogni giorno, davanti al computer che aveva sostituito già da tempo con la macchina per scrivere: “Non potrei più farne a meno di questo coso. Ci faccio tanti errori ma poi li posso subito correggere”, rideva.

Appena seppe che ero di Fucecchio come Indro non volle più lasciarmi andare raccontandomi del suo eterno amico e chiedendomi di come avessi deciso anche io di fare questo mestiere, se fossi stato influenzato da un così autorevole concittadino oppure no. Alla fine del colloquio ci salutammo e lui mi augurò tutto il meglio per la mia carriera con un consiglio: “Ascolti sempre quello che le detta la sua testa senza condizionamenti”. FABRIZIO BOSCHI

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