Il Duce e l'ora delle decisioni irrevocabili

Il saggio sull'ingresso dell'Italia nella Seconda Guerra Mondiale

Il Duce e l'ora delle decisioni irrevocabili
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Il tema dell'ingresso dell'Italia nel Secondo conflitto mondiale è stato, come ovvio, molto trattato dalla storiografia. Nel tempo si sono come congelate due vulgate. La prima ritiene che il 10 giugno 1940 il duce si giocò il destino italiano come meccanico e inevitabile epilogo del progressivo avvicinamento alla Germania. Avvicinamento che peraltro era rimasto denso di ambiguità e sfiducie reciproche, anche dopo la firma del Patto d'Acciaio. Decisamente meno credibile l'altra diffusa idea, ovvero che la decisione sarebbe stata, se non indotta, largamente facilitata da una cialtronesca sopravvalutazione delle capacità militari italiane. Ma nessun inganno dei generali avrebbe potuto nascondere il livello di impreparazione che a Palazzo Venezia, nonostante la retorica di regime, era ben noto.

Nel suo nuovo saggio - L'ora delle decisioni irrevocabili. Come l'Italia entrò nella Seconda guerra mondiale (Rubbettino) - Eugenio Di Rienzo affronta il tema in maniera decisamente più complessa. Di Rienzo sottolinea come in altri suoi lavori, infatti, come il regime avesse operato una scelta tutta interna anteponendo la pace sociale, i lavori pubblici, l'edificazione del Welfare State fascista al potenziamento della macchina bellica (per altro logorata dal conflitto italo-etiopico e dal nostro intervento in Spagna). Parimenti l'autore evidenzia come la decisione finale derivò da una drammatica riflessione mussoliniana, un calcolo, più che un azzardo, che si era protratto per anni e che ruotava attorno alla volontà di rendere il regime fascista capace di misurarsi con gli eventi che avrebbero fatto la storia e trovare al Paese un ruolo. Per capire come Di Rienzo conduce il lettore per le rotte della diplomazia, della politica estera italiana. Rotte caratterizzate dai retaggi liberali, seppur riverniciati con uno smalto fascista. Questa politica continuò a puntare sulla strategia del «peso determinante», nel tentativo di rendere l'Italia arbitra della pace europea, attraverso ambiguità e oscillazioni, che si accrebbero dopo la Guerra d'Etiopia, con l'emergere della Germania nazista, temuta ma anche pensata come una forza sovvertitrice da sfruttare. Hitler fornì a Mussolini la possibilità di essere, a seconda delle circostanze, revisionista o antirevisionista, in una sciarada diplomatica che in fondo esaltava la vecchia tradizione sabauda.

Mussolini sperava di finire questo minuetto con una guerra breve e senza perdere i contatti con l'Inghilterra. Non capì però che il minuetto che avevano giocato tutti era finito, e l'ultimo giro di ballo lo fece sul precipizio.

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