C'è un romanzo appena arrivato in libreria, per i tipi di Fanucci, che sbriciola buona parte delle categorie interpretative a cui siamo abituati. Si intitola Il Terzo impero (pagg. 538, euro 19,90), lo ha pubblicato nel 2007 l'oligarca russo Mikhail Yuryev (morto in modo misterioso nel 2019). Partiamo dalla trama ridotta all'osso, perché aiuta il lettore ad orientarsi nel paradosso che il romanzo genera.
Siamo nel 2056 e uno storico latinoamericano, Alvaredu Branku dos Santos, che abita nella grande Federazione continentale americana, si reca in Russia per dodici mesi e narra il presente e l'origine del Terzo impero, la cui creazione è stata dovuta in buona parte alle iniziative di Vladimir II il Restauratore, che ha preso il potere in Russia dopo Boris il Maledetto, caduto dal trono proprio all'inizio del secondo millennio.
Come è stato creato il Terzo impero russo, che nel 2056 ingloba anche tutta l'Europa occidentale? A partire da una serie di riforme economiche e militari culminate proprio con la guerra in Ucraina. Uno scontro partito dalla rivolta delle regioni orientali e la successiva proclamazione della Repubblica di Donetsk e del Mar Nero, divisa in nove macro regioni. Nelle pagine del libro passano proprio tutti i nomi delle città che sentiamo continuamente nominare nei telegiornali e attorno alle quali si combatte in maniera più aspra: Zaporozhye, Dnepropetrovsk, Kerson, Odessa, Nikolaev. La conquista dell'Europa da parte della Russia, nel romanzo, va avanti senza l'intervento della Nato: «I leader americani hanno esitato a ordinare un assalto, poiché i russi hanno mostrato chiaramente la loro volontà di andare fino alla fine».
Incredibile che questa storia sia stata pubblicata nel 2007. Il tutto viene poi condito da una visione politica che vede scomparire in Russia qualsiasi modello democratico come noi lo conosciamo. Il potere politico finisce nelle mani di una sorta di oligarchia militare, solo chi è disposto a combattere per il proprio Paese ottiene i diritti politici. Insomma una sorta di modello spartano in salsa zarista, magari con una spruzzatina delle idee di scrittori di fantascienza come Robert A. Heinlein (famoso per un classico come Starship Troopers) che hanno immaginato un futuro neoaristocratico dove domina il culto della forza.
Ovviamente questa rivoluzione porta, come forse avrete intuito dalla trama, una riscrittura della storia russa che torna ad essere tutta vista come zarista. Chi detiene il potere, non importa se in una repubblica sovietica o post sovietica, viene sempre etichettato come Zar. Perché la Russia ha quello nella sua anima più profonda. Così, Stalin diventa Josif il Grande. Giusto per spiegare che, insomma, far fuori milioni di oppositori a patto di vincere le guerre va benissimo, anzi: è tanto russo.
Non solo per il fatto che l'Europa occidentale cada nelle mani della Russia, ma anche per il regime politico descritto, questo libro per un lettore che appartenga alla nostra cultura potrebbe sembrare una tremenda distopia. Descrive un mondo da incubo che torna ad un imperialismo militare dove alla fine, se non dai fastidio, lo Stato ti lascia vivere e al più metter via un po' di soldi (mai troppi). La cosa incredibile è che il libro di Yuryev in Russia è stato visto come una splendida utopia. Basti vedere il sottotitolo: «La Russia come dovrebbe essere». Ma quanto questa utopia ha fatto presa, visto che il romanzo è stato lettissimo? Giusto per dare un'idea, Mariya Snegovaya, una sociologa russa della Columbia University, ha suggerito, già nel 2014, che Putin si stesse ispirando a Il Terzo impero come guida per le mosse contro l'Ucraina e come fonte per la nuova ideologia imperiale.
Può sembrare incredibile ma le conclusioni di Snegovaya, riprese da testate importanti come il Washington Post, sull'impatto del pensiero di Yuryev su Putin sono state ulteriormente confermate dagli eventi successivi.
Del resto bisogna ricordarsi anche che Yuryev non era un uomo digiuno della politica russa: è stato presidente del Consiglio per l'economia e l'imprenditoria del governo russo e vicepresidente della seconda Duma di Stato. Allora forse è un bene che il romanzo sia stato tradotto in italiano e i lettori possano dargli un'occhiata. Soprattutto al capitolo conclusivo, in cui la base di qualsiasi governo occidentale, a partire dalla divisione dei poteri, viene etichettata come assolutamente non russa.
Non si tratta nemmeno di capire quanto davvero il romanzo abbia avuto un'influenza diretta su Putin e il suo entourage. È più preoccupante che incarni una ideologia diffusa. Nel libro per altro non mancano nemmeno posizioni antiebraiche da far rizzare i capelli, o gioiosi programmi di rimodellamento etnico, come nel programma di insediamento coloniale dei russi in Europa, che a un lettore italiano potrebbero giustamente fare stringere la bocca dello stomaco.
Quindi, che dire? Benvenuti in un sogno nato a Mosca e che arrivato al di qua delle Alpi sembra un incubo. Potrebbe avverarsi? Ce lo dirà il tempo, qualche pagina del libro si è già avverata, qualche altra è già fallita. Da liberali vien da dire: per fortuna.
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