Un assegno da Google & C. per potenziare le nuove reti

Urso: "Contributo necessario". Si punta a un accordo tra gli operatori e le big tech, con l'Agcom come arbitro

Un assegno da Google & C. per potenziare le nuove reti
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Si avvicina una svolta nel mondo delle telecomunicazioni. Ad anticiparla è il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, con il governo che in vista del Ddl Concorrenza incardinato alla Camera sta lavorando su alcuni emendamenti per obbligare le big tech (come Google, Meta, Netflix e compagnia) a contribuire agli investimenti sulla rete realizzati dagli operatori naionali. «Credo che sia assolutamente necessario un intervento di questa natura», ha detto Urso, al fine di «contribuire in maniera significativa rispetto al carico che viene attribuito alla rete, allo sviluppo e al sostegno del nostro sistema delle telecomunicazioni».

Gli emendamenti portano la firma dei deputati Andrea Dara (Lega), Luca Squeri (Forza Italia) e Massimo Milani (Fratelli d'Italia) che hanno tra di loro differenze minime e in comune un principio: ossia che piattaforme e operatori delle telecomunicazioni negozino tra loro il contributo, con l'intesa (o mancata intesa) che verrebbe passata al vaglio di un arbitro, che nei tre emendamenti viene indicato nell'Agcom il quale avrà potere «di controllo» e di «risoluzione delle controversie» - si legge nell'emendamento Dara - con possibilità di applicare sanzioni «fino all'uno per cento del fatturato» in caso di mancata comunicazione dei dati dell'accordo all'authority. Di «facoltà di applicare sanzioni» per «scoraggiare comportamenti scorretti», si legge anche sui testi di Squeri e Milani. Insomma, l'Agcom sarebbe l'arbitro ultimo affinché un contributo, alla fine, venga effettivamente corrisposto.

La norma riguarderebbe i gatekeepers, ossia i giganti del web inclusi nella lista del Digital Market Act (Google, Amazon, Apple, Booking, TikTok, Meta e Microsoft) e, nella formulazione di Squeri, si citano gli «operatori responsabili di almeno il 5% del traffico dati», definizione che comprenderebbe anche Netflix (responsabile del 9% dei dati prodotti a livello globale secondo alcune stime). In tutti gli emendamenti, inoltre, si chiede ai big tech di formulare previsioni sul traffico che intendono sviluppare l'anno successivo, sia su rete mobile che su rete fissa, e in base a questo si andrebbe a contrattare il contributo, che sarebbe poi rivalutato a consuntivo.

Tra le grandi piattaforme è diffusa l'opinione che un tale provvedimento violerebbe il concetto di neutralità della rete e che servirebbe una normativa su base europea, anziché iniziative lasciate ai singoli Stati. Sta di fatto che, anche nelle righe del rapporto sulla competitività di Mario Draghi, si incoraggia «la definizione di accordi commerciali per la condivisione dei costi tra provider internet, proprietari dell'infrastruttura e le grandi piattaforme che le utilizzano» con la funzione di arbitro ricoperta dagli Antitrust nazionali. Mentre il rapporto Letta scrive «di asimmetrie evidenti determinate dai regolamenti tra Tlc e gatekeepers».

Ergo: un intervento di questo tipo difficilmente incontrerebbe l'ostilità della Ue, viste le sofferenze del settore e il calo di investimenti (passati in Italia dai 7,6 miliardi del 2019 ei 7 miliardi del 2022). Fattore negativo, viste le grandi sfide del futuro. Oltre ai rischi di importanti ricadute occupazionali derivanti da operatori Tlc in crisi (e in Spagna se ne sono visti i primi segnali).

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