Una serrata a Natale sarebbe drammatica per i consumi. Non è una novità. È abbastanza ovvio. Tuttavia è qualcosa che va rammentato. Non è chiaro se questo governo, qualora i dati non dovessero migliorare, accederà a un livello successivo di blocco generalizzato. Ma c’è una sicurezza: questa misura, se dovesse essere messa in campo, sarebbe una catastrofe per l’economia del Belpaese. Secondo il Censis gli italiani sono ben disposti a compiere dei sacrifici oggi perché è convinta che a breve si arriverà a una cura definitiva proprio entro la fine dell’anno. Opinione diffusa maggiormente al Sud (55,2%) e tra gli anziani (53,5%). Ma non è tutto rose e fiori. Uno degli obiettivi dell’ultimo Dpcm (varato lo scorso 24 ottobre) ed entrato in vigore ieri è quello di scongiurare un nuovo lockdown durante il periodo natalizio.
E secondo un rapporto Censis-Confimprese, realizzato con il contributo di Ceetrus, infatti, una chiusura totale a Natale costerebbe all’Italia 25 miliardi di euro di consumi. Non poca cosa. A causa della seconda ondata di restrizioni in aggiunta al primo lockdown, il crollo dei consumi si attesterà sui 229 miliardi di euro (-19,5% in termini reali in un anno), a cui sarebbe associato un catastrofico taglio potenziale di posti di lavoro, fino a 5 milioni di unità. Dal rapporto emerge come il solo retail subirà un taglio del 21,6%, pari a 95 miliardi di euro, con il rischio di perdere oltre 700mila posti di lavoro nell’intero comparto.
Il commercio in Italia è un comparto che frutta miliardi di euro l’anno. Ma questa categoria è stata vessata oltremodo dai giallorossi. Ecco spiegato le proteste generalizzate delle partite Iva diffusesi in tutto lo Stivale. Non amano la violenza. E sono scesi in piazza pacatamente per battersi in quello in cui credono. Non fanno notizia. A differenza delle scene di guerriglia a cui abbiamo assistito nelle scorse ore a Milano e Torino. L’importanza della vendita al dettaglio è testimoniata dal fatto che, da quando siamo in emergenza sanitaria, 18 milioni di persone in Italia hanno modificato i propri comportamenti di acquisto, cambiando negozi o brand di riferimento, gestendo diversamente la spesa, cambiando i criteri di scelta dei luoghi di acquisto.
Nel periodo dell’emergenza, infatti, il 42,7% ha acquistato online prodotti che prima comprava nei negozi fisici, in particolare i giovani (52,2%) e i laureati (47,4%). In generale, dopo il Covid-19 il 38% degli italiani afferma che non tornerà alle vecchie abitudini di consumo. Una catastrofe per i negozi di prossimità.
Il presidente di Confimprese, Mario Resca, ha puntualizzato: "La situazione della distribuzione e del commercio in generale è già durissima oggi con chiusure soltanto parziali. Perché da quando, appena una settimana fa, si è cominciato a parlarne, la flessione è stata immediata. I clienti si sono diradati e la distribuzione, la ristorazione e il commercio hanno già intravisto i giorni bui di marzo e aprile".
A ciò si aggiunge che in relazione al virus, la chiusura dei centri commerciali il sabato e la domenica in alcune Regioni non risolve nulla. Concentra (se mai) i già scarsi clienti durante gli altri giorni della settimana con disagi maggiori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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