Pensioni, a casa a 64 o 71 anni: ecco come cambieranno

L'esecutivo e le parti sociali si incontreranno il prossimo 27 gennaio. L'obiettivo è rivedere il sistema pensioni ma trovare un compromesso appare complicato

Pensioni, a casa a 64 o 71 anni: ecco come cambieranno

Il prossimo 27 gennaio è previsto un confronto cruciale tra governo e parti sociali che avrà come tema la revisione del sistema pensioni.

La data è da segnare con la matita rossa sul calendario, visto che l'obiettivo conclamato del vertice sarà quello di attuare modifiche e correttivi in vista dell'imminente futuro.

Secondo quanto riferito da Il Corriere della Sera, ad accompagnare il processo di riforma troveremo due commissioni ad hoc istituite dalla legge di Bilancio: una sui lavori gravosi e una sulla separazione tra assistenza e previdenza. Presente anche una terza commissione costituita da esperti di livello nazionale.

La battaglia sulla previdenza si gioca sull'età del pensionamento senza penalizzazioni. Due sono le piste possibili: via dal mondo del lavoro a 64 anni o a 71? Tra ipotesi e idee differenti, il confronto si preannuncia serrato.

In Europa si va in pensione a 63 anni di età mentre in Italia a 67, con un sistema che tra l'altro penalizza le nuove generazioni (il loro assegno al massimo sarà la metà dell'ultimo stipendio). Quali correttivi apportare? Al fine di garantire flessibilità in uscita dal mondo del lavoro è necessario ridurre costi e attuare varie modifiche, ma non tutti sono d'accordo sul da farsi.

La proposta del governo e la controproposta dei sindacati

Il governo giallorosso vorrebbe elevare da 62 a 64 anni la soglia minima per lasciare il mondo del lavoro. Alcuni hanno ribattezzato questa idea "Quota 102", una misura che prevede un'ulteriore riduzione dell'assegno pensionistico. In vista del futuro, poi, si starebbe pensando a un ricalcolo totale delle pensioni con il ricorso al sistema di calcolo contributivo (cioè sulla base dei contributi versati dal lavoratore).

C'è poi la posizione dei sindacati, i quali non intendono assolutamente superare Quota 100 per arrivare ai 64 anni di età come requisito anagrafico e 36 o 38 per quello contributivo. La motivazione principale è che il ricalcolo proposto dall'esecutivo andrebbe a penalizzare quelli che ancora ricadono nel sistema misto e vantano vari versamenti nel retributivo. Dunque: no senza appello all'opzione dei giallorossi.

La proposta di Cgil, Cisl e Uil mira sia a sostituire definitivamente la legge Fornero, quanto a superare Quota 100 e il relativo scalone creato al termine della sua sperimentazione. Di cosa si tratta? Andare in pensione a 62 anni con almeno 20 anni di contributi e calcolo della pensione pro-rata. In alternativa, 41 anni di contributi indipendentemente dall'età, con sconti per lavori gravosi, donne e giovani con carriere discontinue.

Alla ricerca di un complicato compromesso

L'esecutivo sembra disponibile ad aprire un tavolo sulla previdenza con le varie parti sociali, ma la proposta dei sindacati mette seriamente in difficoltà il governo a causa degli eccessivi costi. Come se non bastasse, pesano le diverse vedute in seno alla stessa maggioranza: a sentire il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, Quota 100 non si tocca, ma per Luigi Marattin, deputato di Italia Viva, la misura va subito tolta di mezzo.

In altre parole, tutti vogliono risolvere il rebus dello scalone di Quota 100 e riscrivere la Fornero ma non c'è concordanza sul modus operandi.

È dunque necessario trovare un compromesso.

C'è chi, come il senatore Pd Tommaso Nannicini propone un'uscita a 64 anni con 20 di contributi con ricaolcolo contributivo e chi spinge sull'allargamento dell'Ape sociale e stop a Quota 100. La sensazione, tuttavia, è che trovare un punto d'incontro non sarà certo una passeggiata.

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