Enrico Baj, l'artista libero che liberava i libri

Sperimentatore e "inventore", nelle opere grafiche contaminava idee, materiali e tecniche

Enrico Baj, l'artista libero che liberava i libri

L'arte è ricerca di libertà, e nessuno può negarlo; per Enrico Baj (il quale aggiungeva: «Un quadro è l'insieme bruciante della vita»), era una regola aurea. Ma le vie da percorrere per arrivarci sono molte, alcune delle quali portano a tragici errori, o peggio alla banalità; altre al capolavoro. Si chiama sperimentazione.

Ecco. Se c'è una cosa in cui Enrico Baj (1924-2003) - una vita disegnata fra Milano, gli anni d'oro di Parigi e Vergiate, Vergiàa, a nord del profondo Nord fu un vero maestro, è la sperimentazione. Sperimentava sempre: idee, tecniche, materiali, forme d'arte. Nel 1983, per dire, qualche mese prima della rivoluzionaria decorazione del negozio Fiorucci in San Babila a Milano di Keith Haring, Baj - spirito dissacrante, ironico, eccentrico e patafisico - realizzò Il mondo delle idee, una tela lunga 19 metri dipinta con lo spray verde per lo Studio Marconi dove si mescolano simboli della Patafisica, personaggi del teatro dell'assurdo, incisioni rupestri della Valcamonica e le tecniche del graffitismo newyorkese. Si divertiva innovando, e innovando faceva cose serissime.

Un esempio sontuoso della creatività, l'eclettismo, la bizzarria, l'originalità (e parlando di arte tipografica: del carattere) di Enrico Baj lo offre la mostra Libri in libertà che alla Biblioteca Braidense di Milano, da oggi al 6 luglio, mette in fila ventisei libri d'artista dei circa cinquanta realizzati nel corso della sua vita. Una grande sala (la «Teresiana»), trenta teche, tre curatori (Angela Sanna, Michele Tavola e Marina Zetti), un nume tutelare (la vedova Roberta Cerini, responsabile dell'Archivio Baj) e una sfida, quella di raccontare il rapporto fra arte e letteratura, fra immagini e parole. E così la mostra si srotola come un libro di carta e di invenzioni lungo le tappe della sua carriera. Il rapporto con i classici, il Movimento nucleare, l'avvicinamento al Surrealismo, l'amicizia con Breton e Duchamp, la predilezione (ribaltando la scala di valori) per onorificenze, medaglie e mostrine, l'ossessione divertita per mostri, ultracorpi e Bestiari...

Eccoli qui, i suoi libri d'artista, ai quali fra disegni, incisioni, merletti, fiori, medaglie, bottoni, passamaneria, vetri, mattoncini di Lego, stoffe e fantasia l'artista milanese si dedicava totalmente, seguendo il lavoro in ogni sua fase, con passione e puntiglio. Realizzava le opere (acqueforti, serigrafie, collages...) da affiancare ai testi di poeti e scrittori (Queneau, Benjamin Péret, Borges, Sanguineti, Guido Ballo, Giovanni Raboni, Alda Merini, Dino Azzalin...), sceglieva le carte, seguiva la stampa, lavorando e litigando con lo stampatore, che spesso era il suo amico, il pazientissimo Giorgio Upiglio, il re degli stampatori d'arte.

Tra i «pezzi» imperdibili, ne scegliamo una manciata. Il suo libro d'artista d'esordio (viene stampato dall'editore Schwarz in una tiratura di 51 esemplari nel 1958): è il De rereum natura di Lucrezio, che Baj aveva studiato e tradotto al liceo, per il quale realizza 36 acqueforti. Per lui è un vero e proprio esperimento nel campo della grafica, tanto che immerge la lastra dell'incisione nell'acido puro, senza diluirlo: Baj rischia l'intossicazione, tossisce per giorni, ma riesce a salvare la lastra e a trasformare l'errore - i segni che restano sull'opera - in un lavoro d'avanguardia. Poi il poemetto patafisico di Raymond Queneau Meccano ou l'Analyse Matricielle du Langage che Baj arricchisce con 17 stampe calcografiche coloratissime: prende dei pezzi di meccano come matrice, li inchiostra e li stampa su carta, nella stamperia Tosi, a Milano, nel 1966. Quindi il «libro della cravatta», ossia La cravate ne vaut pas une médaille, per cui inventa lui stesso il testo (dimostrando di essere anche un grande scrittore), realizza quaranta fra serigrafie e litografie e collages dedicati alla cravatta, che per lui è un vero codice sociologico, e mette il tutto in una grande scatola-libro di Lego (viene stampato dalle Éditions Rousseau di Ginevra, anni 1972-73, in 200 esemplari). E infine iln bellissimo libro inventato assieme a Alda Merini nel 1999: lui ritrae lei mentre lei dedica un ritratto poetico a ognuno dei membri della famiglia Baj: artista, moglie e quattro figli.

Ci fermiamo qui. Le altre meraviglie d'arista le scoprirete in mostra, teca dopo teca.

Per il resto, siamo felici per come siano iniziate le celebrazioni del centenario della nascita di Enrico Baj. Ora aspettiamo la grande antologica che la sua Milano gli dedicherà a ottobre, a Palazzo Reale. Sperando di poter vedere anche una delle opere più importanti e meno viste dell'artista: I funerali dell'anarchico Pinelli, una tela monumentale (3 metri di altezza e 12 di lunghezza) che doveva essere esposta proprio a Palazzo Reale il 17 maggio 1972. Ma la mattina dell'inaugurazione l'uccisione del commissario Luigi Calabresi fece sospendere la mostra. L'opera, poi regalata alla vedova Pinelli, è da allora nei depositi della Galleria Marconi, da cui è uscita davvero poche volte (l'ultima nel 2012).

Chissà se la rivedremo nella mostra di ottobre. Sembra che i curatori ci tengano molto ma il sindaco tema la reazione della famiglia Calabresi. A 52 anni dai fatti sembra uno scherzo beffardo dell'anarchico - pacifista e patafisico - Enrico Baj.

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