"Freud, Watson e Perls. Quei maghi dell'anima che ci guardano dentro"

L'autore tedesco Steve Ayan racconta "il secolo della psicanalisi", di cui il nostro mondo è erede

"Freud, Watson e Perls. Quei maghi dell'anima che ci guardano dentro"

Il Novecento è stato «il secolo della psicoanalisi» e gli anni Duemila ne sono gli eredi diretti: viviamo immersi in un «culto della psiche» in virtù del quale, per esempio, «in Germania c'è così tanta richiesta che mancano gli psicoterapisti per tutti», come racconta Steve Ayan, psicologo e divulgatore tedesco. Nel suo saggio Architetti dell'anima (Feltrinelli, pagg. 400, euro 25; in libreria dal 28 gennaio) Ayan ci fa attraversare quel secolo e i suoi protagonisti.

Steve Ayan, perché parla di Architetti dell'anima?

«Perché, fin dai primi del '900, la rivoluzione della psicanalisi è una specie di magia: viene praticata come una terapia medica, per curare le persone, ma una delle sue basi, fin dall'inizio, è la fiducia nel fatto che funzioni. È quella che Freud chiama attesa fiduciosa».

Lo psicoterapeuta è un mago dell'anima?

«Vediamo questo concetto alla base dell'effetto placebo: l'attesa che qualcosa mi faccia bene e la convinzione che avere una teoria che mi dia una visione interna, insieme alla consapevolezza, sia parte del processo. Gli inventori della psicoterapia mettevano in atto una specie di magia anche nel modo di comportarsi: Freud sedeva alle spalle del paziente, che stava sul celebre divano...».

Come funziona la magia?

«L'idea base della psicanalisi è che ci sia uno spazio nella mente a cui non abbiamo accesso e che ci siano un uomo saggio, o un metodo, per raggiungerlo. Secondo Freud, l'attesa fiduciosa è necessaria per guarire e sentirsi meglio e il grosso del lavoro dello psicoterapeuta è vincere la resistenza della persona».

Perché parla di «culto della psiche»?

«Oggi si parla anche di psicotainment: in Germania ci sono moltissimi corsi e perfino spettacoli teatrali su concetti della psicologia. E spesso alla base c'è il poter vedere dietro la cortina della nostra mente, come per Freud: ti spiego come fare per scoprire l'immagine giusta di te stesso, per guarire e per comportarti secondo i tuoi veri motivi. Un altro concetto base, molto importante ancora oggi, è quello del trauma».

Che accoglienza trovò Freud?

«Nella Vienna di inizio '900, queste idee incontrarono molta resistenza. Negli Stati Uniti, la corrente che si diffuse era addirittura opposta: il behaviorismo, nato dagli studi di John Watson, un altro protagonista del libro. Una figura luminosa e interessante: un uomo di forti convinzioni e con una tendenza al marketing personale... Fu costretto a lasciare l'università per la sua relazione con una studentessa, Rosalie Rayner, che poi divenne sua moglie; entrò in una agenzia pubblicitaria e lì iniziò la sua vera carriera».

Il padre del comportamentismo è un pubblicitario?

«Sì. I suoi studi sulle regole del processo di apprendimento hanno ispirato la terapia comportamentale e il primo esperimento fu compiuto proprio da una sua allieva, Mary Cover Jones, su un bambino che aveva paura dei roditori. All'epoca si crearono delle scuole rivali».

C'era competizione fra psicoterapeuti?

«Il behaviorismo era un approccio radicato nella psicologia accademica, mentre ai suoi esordi la psicanalisi era al di fuori del mondo universitario. Freud aveva un suo studio. Negli anni '40 emergeva un terzo approccio, quello umanistico di Fritz Perls, che era emigrato a New York e aveva fondato l'Istituto della Gestalt. Ciascuno di questi tre movimenti sosteneva di possedere la vera via e che gli altri fossero falsi; le liti erano forti... Era come un supermercato, con varie offerte di modi di comprendere la psiche umana e la tendenza delle diverse scuole era quella di dire: il mio prodotto vale più degli altri».

C'è un aspetto economico?

«Freud era geniale ma era anche un uomo d'affari. Inizialmente aveva anche un bisogno disperato di soldi per sposare la sua amata Martha. D'altra parte, la promessa del benessere trova subito seguaci Oltreoceano, dove emigrano i primi psicanalisti: William Reich, Otto Rank, Alfred Adler. L'America è incredibilmente aperta alla psicoterapia».

Che cosa cambia?

«Nel secondo dopoguerra il movimento inizia a occuparsi di temi come vivere in tempi difficili, trovare amici, essere felici, avere successo: prende piede l'idea che la terapia sia per tutti, non solo per chi debba guarire; che tutti possiamo liberarci da blocchi e nevrosi».

La psicoterapia ha realizzato la sua promessa di guarire l'anima?

«Ogni epoca ha i suoi modi di intendere la cura dell'anima, i suoi modi di guarirla e anche le sue malattie o i suoi problemi. Freud viveva nella atmosfera repressiva della Vienna di inizio '900, dove la soppressione dei desideri corporei era dominante; negli anni '60 l'intento della terapia è di liberare il pieno potenziale della persona, per la realizzazione del sé».

E oggi?

«Oggi dominano le idee di resistenza e resilienza: la psiche è qualcosa di delicato e fragile, che richiede una attenzione costante.

Quindi il concetto di cura dell'anima è cambiato molto ma resta, alla base della psicoterapia, una fiducia molto forte nel suo potere. Benché essa funzioni soltanto per circa metà delle persone... Lo stesso Freud diceva che la terapia trasforma una nevrosi devastante in un malessere quotidiano».

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