Giustizia, l'ultima trovata della magistratura? Non vuol farsi dare le "pagelle" sul rendimento

Già fallita la sperimentazione per valutare gli standard di rendimento: i magistrati bocciano i criteri adottati e li definiscono "irragionevoli". Ma il Csm ammette: il trenta per cento delle toghe deve lavorare di più. Dai tribunali di Napoli e altre città arrivano giudizi negativi sui metodi usati

Giustizia, l'ultima trovata della magistratura? 
Non vuol farsi dare le "pagelle" sul rendimento

Roma - Quanto è difficile dare le «pagelle» ai magistrati. Difficilissimo. Lo dimostra la sperimentazione sugli «standard medi di produttività», avviata a gennaio dal Csm in alcune città italiane: entro giugno i diversi Consigli giudiziari ( dove tutte le correnti sono rappresentate in proprzione alla loro forza, come al Csm) devono trarre le conclusioni e a luglio si farà un bilancio. Ma i primi risultati, a giudicare dalle relazioni già arrivate a Palazzo de’ Marescialli, appaiono deprimenti.

Prendiamo il Consiglio giudiziario di Napoli, una delle sedi più importanti d’Italia: ha bocciato all’unanimità e su tutta la linea il metodo proposto dal Csm. «Impraticabile», «inadeguato», «irragionevole»: sono solo alcuni dei giudizi ripetuti più volte, nel documento approvato a fine maggio. In cui si esprimono «gravi perplessità», sulla base dell’impatto della teoria con la realtà giudiziaria.

Anche da Genova, sembra che non arrivino notizie più confortanti e le critiche sarebbero in molti casi le stesse. Scarso entusiasmo da Milano. E dubbi da Salerno e Campobasso. Se si va avanti così, il lavoro fatto finora potrebbe fininire nel cestino. Per ricominciare tutto daccapo...

E dire che su questo punto il Csm è in forte ritardo. La legge del 2007 di riforma dell’ordinamento giudiziario impone all’organo di autogoverno della magistratura di individuare i parametri oggettivi per la valutazione quadriennale della professionalità dei magistrati, necessaria agli avanzamenti di carriera non più automatici.
Gli standard dovevano essere fissati nel 2008, ma a Palazzo de’ Marescialli quasi si sono messi a ridere. Il gruppo di lavoro, diviso nei vari settori (civile, penale, procura, eccetera), si è insediato nel 2009 ed è andato avanti tra mille inciampi e difficoltà, disaccordi, resistenze e divisioni. Si è chiusa una consiliatura, si è insediato a luglio scorso il nuovo Csm e in autunno, finalmente, è stato partorito un sistema con schede di valutazione di professionalità, parametri di laboriosità e standard di rendimento. Tutto per individuare il numero delle sentenze necessarie in un anno, il carico di lavoro, lo smaltimento dell’arretrato, i tempi impiegati per i vari adempimenti.

All’inizio del 2001 è partita la sperimentazione in città campione, dalle gradi metropoli agli uffici giudiziari di media grandezza: Roma, Bologna, Firenze, Palermo, Caltanissetta, oltre alle sedi già citate.
Le poche centinaia di toghe «cavia» selezionate sono state valutate solo «virtualmente» (la scheda non peserà sulla carriera), secondo i nuovi criteri per mettere la loro laboriosità sotto osservazione.
Si utilizza una griglia di categorie, ma gli standard sono «al buio»: l’interessato, cioè, non sa in quale rientra e dunque qual è la media di lavoro che gli verrà richiesta al fine dalla valutazione. Per il numero delle sentenze, ad esempio, si va da un minimo di 104 ad un massimo di 170 l’anno, ma in relazione al carico di lavoro già esistente (pendenze più nuove cause), con scaglioni che vanno dai 900 agli oltre 1.250 procedimenti.

Il «buio» sugli obiettivi da raggiungere è stato il punto più controverso all’interno del gruppo di lavoro: ma a far prevalere questa linea è stato il timore che le toghe più laboriose si adeguassero al ribasso, invece di fare da contrappeso ai colleghi lumaca.

Mentre si studiavano gli standard di produttività il Csm ha riconosciuto che il 30 per cento dei magistrati deve lavorare di più. Anche per smaltire un arretrato di quasi 6 milioni di cause.
Paradossalmente, le «gravi perplessità» emerse dall’esperimento napoletano e non solo, ricalcano le critiche mosse nella relazione di minoranza del gruppo di lavoro sottoscritta solo dalla corrente di Magistratura indipente.

Il rischio, par di capire, è che si imponga un’iperproduttività ai magistrati già affogati di lavoro lasciando quelli più lenti, fannulloni o disorganizzati liberi di continuare così. Alla faccia dell’omogeneità. E puntare solo sulla quantità farebbe scendere il livello qualitativo del lavoro. Il che, quando si parla di giustizia, è un rischio grave.

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