
Aveva torto Bertolt Brecht quando scriveva «sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi». Perché di loro, ci piaccia o meno, ne abbiamo un grande bisogno. Lo ha ben compreso il capo di Stato maggiore dell'aeronautica militare americana, il generale David W. Allvin, che, nel suo discorso all'Air and Space Forces Association, ha detto che una delle sue priorità è quella di ristabilire l'etica del guerriero. Che, poi, è quella dell'eroe. Perché alla fine, il compito, anzi la vocazione, è la stessa: essere disposto a dare la vita per qualcuno. O per qualcosa. Non a caso, Gilbert Keith Chesterton scriveva che «un vero soldato non combatte perché ha di fronte a sé qualcosa che odia. Combatte perché ha alle sue spalle qualcosa che ama». Ed è da qui che, in un momento di così grande crisi del mondo, che bisogna partire: da un cambio di mentalità. Che parla al singolo ma in relazione a una comunità, come sottolinea il generale americano: «È necessario far sapere a ogni aviatore cosa significa combattere in un'unità e cosa ci si aspetta da lui».
È a questo che serviva la grande epica classica: a fornire modelli da seguire quando il gioco si faceva duro. Ettore diventava così l'esempio di chi era disposto a morire non solo per la propria città, ma anche (e soprattutto) per la propria famiglia. Ulisse insegnava l'astuzia, non solo in battaglia, e Achille la furia. E lo stesso facevano i grandi cicli bretoni, con re Artù e i suoi cavalieri, e le storie degli indiani contro i cowboy.
C'è sempre un personaggio preferito da seguire fin da bambino, che ti porti dentro fino all'età adulta. Una sorta di spirito guida da invocare nel momento del bisogno. Un angelo custode laico.Beato quel popolo che ha bisogno di eroi, quindi. Ma ancora più fortunato è quel popolo che sa dove andare a trovarli.
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