Ida Magli ha sovvertito, per alcuni decenni, i luoghi comuni della cultura e della politica italiana. Lo ha fatto da posizioni originalissime. Quelle di una antropologa che studiava la nostra società con gli strumenti della sua disciplina prediletta.
Il mondo intellettuale, invece di fare tesoro delle sue idee, magari per confutarle, ha reagito come reagisce sempre di fronte a ciò che capisce fin troppo bene ma non vuole accettare: con un progressivo ostracismo terminato nel silenzio e infine, dopo la morte della Magli, nel dileggio. Cosa c'era di tanto offensivo nelle sue idee? Ripercorriamole, a cento anni quasi esatti dalla nascita, 5 gennaio 1925, ovviamente senza alcuna pretesa di esaustività.
Ci farà da guida, nelle citazioni, il libro intervista del 1996 con Giordano Bruno Guerri: Per una rivoluzione italiana, ora nel catalogo di Baldini&Castoldi.
La democrazia è «allucinazione» e «inganno». Un tabù, cioè una parola magica dietro alla quale nascondere verità problematiche. Lo Stato pensa ad estendere la propria influenza. Il cittadino non possiede alcun potere, tanto meno quello di scaricare chi lo opprime. Posizione impopolare in Italia. La soluzione ha un sapore liberale: «Ridurre il più possibile gli spazi del Potere». Evitare che si accumuli ed «eliminarne gli eccessi, come si fa per il colesterolo». Nessuna società può sopravvivere senza rispettare alcune regole e senza essere amministrata. Questo tipo di potere residuale e ineliminabile «va chiamato col suo nome: Potere, e va assegnato esplicitamente - come incarico retribuito, responsabile, in base a competenze specifiche - nei limiti di una gestione amministrativa a tempo determinato». La sacralità del voto? «È indubbio che la scena del pezzo di carta colorato, della matita, della croce da tracciare su un simbolo, degli scatoloni con la fessura dove inserire la scheda, della conta manuale di questi segni, rappresenta come meglio non si potrebbe l'annientamento dell'uomo occidentale nei confronti del Potere. Sarà difficile, per lo storico o l'antropologo di domani, capire che non si trova davanti al reperto di una cerimonia tribale dell'Africa Nera».
Da antropologa, la Magli rivendicava l'integrità culturale. Religione e lingua sono i pilastri della identità di un popolo. L'immigrazione di massa dai Paesi musulmani rischiava di avere un impatto disastroso. Lo disse quando l'11 settembre 2001 era lontano. Il dibattito sullo ius soli o sullo ius scholae era roba da accademia. Le proporzioni epocali del fenomeno migratorio non erano ancora chiare a tutti. A Ida Magli invece erano chiarissime. Ci andranno di mezzo la nostra cultura e la laicità dello Stato: «È indispensabile una legislazione rigida per fare in modo che almeno non ne arrivino troppi. Ripeto: gli islamici sono una popolazione forte, con una religione forte, non possono in alcun modo essere integrati nel nostro contesto (come in nessun altro contesto: vedi l'esempio francese), anche se lo volessero, ma naturalmente non lo vogliono. L'integrazione è impossibile già al livello, che sarebbe indispensabile, delle leggi: perché il Corano è un codice sia civile sia religioso». In ballo ci sono libertà costate secoli di guerre fratricide: «Questo significa anche che tutto quello che noi abbiamo così duramente conquistato nel corso della storia, ossia l'affermazione di un'etica scissa dal sacro, è incompatibile con la loro visione del mondo. Noi non dobbiamo imporre a loro la nostra: è una cosa che abbiamo fatto in passato ed era una violenza gravissima. Ma proprio perché sappiamo bene a quali irrimediabili conflitti si va incontro, abbiamo il dovere e il diritto di prevenirli».
La Magli fu anche una critica severa dell'Unione Europea. La considerava come la democrazia: un altro tabù, un'altra finzione. Dove non esiste lingua comune, non esiste popolo. La Magli fu la prima a leggere e contestare i trattati che superavano il mercato comune per dotare l'unione di nuove istituzioni politiche ed economiche, tra cui la moneta (il non ancora varato euro) definita «una grave violenza dei governanti sul popolo». La ricchezza dell'Europa sta nella sua infinità varietà. L'omologazione, da ottenersi attraverso l'ideologia del politicamente corretto, alla lunga sancirà proprio la fine del Vecchio continente.
Negli articoli (molti) pubblicati sul Giornale, la Magli ha combattuto una battaglia durissima contro il politicamente corretto. Scrisse su queste colonne: «Il politicamente corretto costituisce ovviamente la forma più radicale di lavaggio del cervello che i governanti abbiano mai imposto ai propri sudditi. La corrispondenza pensiero-linguaggio è infatti praticamente automatica.
Inserire una distorsione concettuale in questa corrispondenza significa impadronirsi dello strumento naturale di vita cui è affidata la specie umana: l'adeguamento del sistema logico cerebrale alla percezione». Parola di antropologa.
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