Di prima mattina seguivo ieri dalla sponda opposta le prime operazioni di recupero della Concordia. C'era uno splendido arcobaleno sul mare, sembrava un'impresa benedetta dal cielo: in hoc signo vinces. Il Santo Protettore Civile, Franco Gabrielli, si sentiva investito come Costantino dell'appoggio divino e si mostrava trionfale ai microfoni. C'è voluto un anno e mezzo per quella rotazione che riporta a galla la nave. Un segno di ripresa del Paese, narrano commossi i tg, la metafora di una rinascita che cancella la brutta associazione d'idee che fu fatta nel mondo tra l'Italia che affonda e il naufragio della Concordia. Finalmente cancellata l'era schettina di Mari&Monti. Confortante.
Però vorrei ricordare che anche sul piano simbolico non si tratta di un'opera di fondazione, non sta nascendo né sta tornando in vita qualcosa. Stanno solo trasferendo un ciclopico cadavere in obitorio. Certo, non c'è paragone tra la rottamazione della Grande Nave e la rottamazione del Piccolo Matteo (pertinente invece l'auto-paragone di Renzi col mago Otelma, lui sarebbe il gradino precedente). Ma qui stiamo parlando di smantellamento e magari di donazione degli organi navali.
È possibile che l'orgoglio d'Italia sia affidato a un relitto e a una gigantesca impresa di pompe funebri per sistemare e trasferire la carcassa in un cimitero adeguato? Il massimo a cui può aspirare il Paese è la composizione e la manutenzione di un cadavere? L'Italia dei relitti e delle pene. Restiamo a Letta perché non riusciamo a stare in piedi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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