La Cgil e la Uil non hanno firmato il nuovo contratto nazionale degli statali, ma i loro iscritti e simpatizzanti godranno comunque dei non pochi benefici concessi dal governo. L'accordo raggiunto ieri con la Cisl, solo sul piano economico prevede un aumento del 6%, che si traduce in 165 euro lordi medi al mese. Sono poi state introdotte alcune novità come l'attribuzione del buono pasto anche per i giorni in lavoro agile e la sperimentazione della «settimana corta», cioè la possibilità di articolare in quattro giorni anziché in cinque l'orario di lavoro, che resta comunque fissato in 36 ore. Non sarà una svolta epocale, ma certo è un contratto che va incontro alla maggior parte delle richieste dei lavoratori, al punto che la scelta di Cgil e Uil di abbandonare il tavolo appare incomprensibile. E non è la prima volta che ciò accade. Da tempo i sindacati stanno bloccando il contratto integrativo per gli infermieri dei pronto soccorso che, secondo la proposta messa sul tavolo dal ministro Paolo Zangrillo, dovrebbe portare nel giro di due anni ad aumenti di stipendio complessivi superiori ai cinquecento euro al mese. Perché succede un così lapalissiano controsenso logico? Be', a questo punto, la risposta mi sembra ovvia: perché il sindacato non difende più gli interessi dei lavoratori, ma svolge unicamente un ruolo di opposizione politica al governo. Per loro ogni euro in più che Giorgia Meloni riesce a mettere nelle tasche dei lavoratori è un euro maledetto perché potrebbe creare consenso o, quantomeno, smorzare quella «rivolta sociale» auspicata proprio dal segretario della Cgil Maurizio Landini. Non occorre essere dei geni della contrattazione per sapere che anche la trattativa più dura a un certo punto deve trovare un punto di sintesi che la renda applicabile in tempi compatibili con le urgenze dei lavoratori e delle loro famiglie.
Ma se, come sta facendo la Cgil, quel momento ogni volta viene rinviato con una scusa diversa, se l'asticella la si continua ad alzare, a prescindere dalla realtà, ecco, se accade tutto ciò, ad «affamare», come dicono loro, i lavoratori non è certo il governo ma il sindacato stesso.
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