"Così i giovani ci insegnano l'autonomia"

Il pamphlet del governatore veneto Luca Zaia: "Divari tra regioni? Colpa del centralismo"

"Così i giovani ci insegnano l'autonomia"

Proviamo solo a immaginare quali benefici possa trarre una Regione da una sapiente gestione della propria autonomia.

Perché non pensare, ad esempio, a quanto si potrebbero rendere più efficaci le politiche per la famiglia, offrendo un aiuto alle giovani coppie che intendono acquistare la prima casa, attraverso contributi sotto forma di prestiti agevolati o anche solo facendosi carico di garanzie per facilitare l'accesso ai mutui. Senza contare che un'oculata amministrazione delle risorse produrrebbe risparmi che potrebbero tradursi in ulteriori misure di sostegno alle famiglie con bambini o particolarmente numerose.

Un ambito fondamentale per la vivibilità di un territorio è senza dubbio quello dei trasporti. Anche in questo caso, l'inesauribile fantasia dei detrattori della riforma ha saputo instillare nei cittadini l'ennesimo pregiudizio, facendo intravedere prospettive allarmanti. Si fa leva sulla considerazione che, ovunque gli enti locali gestiscano i trasporti, questi siano il simbolo per antonomasia dell'inefficienza. Di conseguenza, estendere questa gestione sarebbe disastroso. Se però ci si ostina a voler vedere mancanze ovunque e i pericoli di un contagio inarrestabile si rischia di ribaltare il senso dell'autonomia che, da preziosa alleata per il miglioramento di tante situazioni, diventa la nemica numero uno.

Trincerarsi dietro l'alibi della potenziale inefficienza per rifiutarsi di guardare alla grande opportunità che deriverebbe dal richiedere ulteriori competenze impedisce di comprendere quale prospettiva storica si apra oggi per le regioni del Sud. Una nuova vita, una sorta di ricostruzione in tempo di pace da cui ripartire.

E, in questo, l'assunzione di nuove competenze e responsabilità da parte di ciascun territorio può suscitare l'emulazione sana e virtuosa negli altri. Non sto parlando come molti vorrebbero credere di una competitività fine a se stessa, che mira a far prevalere l'uno sull'altro, ma della ricerca delle soluzioni amministrative più adatte per un territorio, da cui possono nascere modelli positivi replicabili anche per il progresso di altri, fungendo da ispirazione per il governo centrale. (...)

L'Italia ha un disperato bisogno di novità. Non è mantenendo lo status quo che potrà fare il suo ingresso in un futuro migliore. Tanti giovani lo hanno capito. Ne ho avuto la conferma trovando in molte occasioni proprio tra di loro i principali sostenitori dell'autonomia. Oggi, molto più che in passato, i ragazzi sono educati a essere autonomi, hanno tante possibilità di ampliare i propri orizzonti di pensiero, di fare esperienze internazionali e possono contare sulle risorse che l'accesso al digitale garantisce loro in tempo reale. Questo alimenta il disincanto nei confronti delle istituzioni e della politica, da cui non sono affatto intimiditi e verso cui non sembrano avere quel senso di sudditanza che poteva riscontrarsi in altre epoche. Fa parte del loro bagaglio condiviso il principio che è alla base dell'autonomia, e cioè che va riconosciuto a ciascuno il diritto di crescere secondo le proprie aspettative. Hanno rimosso frontiere e barriere sociali, e sono i primi a riconoscere che non è possibile accettare la realtà di un paese in cui il destino di un individuo sia segnato dal posto in cui nasce.

Qualsiasi assetto si voglia dare all'Italia, il primo obiettivo del prossimo futuro deve essere la rimozione di questa inammissibile disparità. E penso sia chiaro a tutti che la colpa di tale disparità non è certo dell'autonomia.

Al contrario, il vento nuovo che spira in questa direzione potrà essere la cura. E, perché no, aiutare i giovani a prendere in mano le sorti delle loro comunità e rompere una volta per tutte quella spirale che, continuando a considerarli solo come il «futuro», troppo spesso impedisce loro l'ingresso nei luoghi in cui si prendono le decisioni nel presente.

L'autonomia è l'occasione per disegnare finalmente un paese moderno, dove i giovani si recano volentieri apprezzandone le strutture d'avanguardia e l'attenzione alle esigenze dei cittadini, delle imprese e delle famiglie, che cambiano con il mutare delle congiunture storiche ed economiche. Anche in questo senso le nuove generazioni possono aiutarci a mostrare che i modelli federalisti non sono un tabù. Da cittadini del mondo hanno avuto modo di sperimentare la quotidianità di contesti in cui, storicamente o più di recente, il federalismo è stato messo alla prova con successo.

Un paese moderno e federale è l'unica chance per rendere di nuovo attrattiva l'Italia agli occhi dei ragazzi che hanno dovuto, loro malgrado, abbandonarla.

Autonomia e federalismo, insieme, sono in grado di valorizzare la presenza dei giovani nelle istituzioni e nei nostri territori. Una presenza che rinnova la passione della partecipazione politica, che invoglia a mettersi in gioco e diventare parte della catena decisionale, ed è un aspetto fondamentale nella nuova sfida del governo di questo paese.

Se non sarà capace di dare queste possibilità ai giovani, l'Italia centralista è destinata a

diventare un paese-dormitorio, un'immensa struttura per le vacanze, dove i primi turisti saranno i nostri emigrati che tornano a casa per le ferie. (...)

In sintesi: l'autonomia o si farà per scelta o si dovrà fare per necessità.

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