E il Pd per salvarsi la faccia scarica la vecchia gestione

Il fuoco amico di Repubblica e Fatto è la mossa finale di una strategia della sinistra per dimostrare che il ticket Profumo-Viola ha le carte in regola

E il Pd per salvarsi la faccia scarica la vecchia gestione

La caduta di Giuseppe Mussari e la bufera che ha investito Mps non sono state causate martedì dallo scoop del Fatto Quotidiano sull'operazione in prodotti derivati denominata Alexandria. La sorte del presidente dell'Abi era stata scritta già il giorno prima, da Repubblica, in un articolo del vicedirettore Massimo Giannini che, con inusitata cattiveria, scaricava definitivamente l'ex capo del Monte e la banca senese tutta. L'indomani il Fatto ha concluso l'operazione. Naturalmente le cose sono più complesse di così, ma la sintesi non è che la presa d'atto di quello che a Siena si sa da mesi. E cioè che il Pd di Bersani ha mollato la città ritirando la sua storica copertura politica alla vecchia conventicola comunisti-cattolici-massoni che gravita intorno alla banca. E mandando la coppia Profumo-Viola a scoperchiare le pentole.

In questa settimana è arrivato il turno di Mussari. Non è un caso che l'attacco mortale sia arrivato da due quotidiani così vicini (anche se in modo diverso) alla sinistra. Proprio per questo ha un ben preciso significato che sia stata la debenedettiana Repubblica a scaricare Mussari e il severo Fatto a schiaffare in prima pagina le nefandezze di un contratto derivato da centinaia di milioni, non comunicato né all'interno della banca, né alle autorità di vigilanza.

Un fuoco amico che ieri ha avuto le sue belle conseguenze: in Borsa il titolo ha subito un tracollo dell'8% che, sommato alla perdita della vigilia, ha annullato il rally che aveva visto crescere le azioni dall'inizio dell'anno del 25%. E non casuale è stata la reazione dell'ad della banca, Fabrizio Viola, durissimo con la passata gestione a proposito dei derivati segreti: «Sono operazioni complesse». E «la possibilità da parte della vigilanza di conoscerle» dipendeva dalla contabilizzazione e «dalla corretta gestione dei documenti: sono mancate entrambe le condizioni».

L'attuale gestione, Viola con il presidente Alessandro Profumo, prende le definitive distanze dalla vecchia in modo da gestire al meglio i numeri, ancora brutti, di cui dovrà assumersi le responsabilità. Ecco allora che l'impressione, naturalmente non confermata dalla banca, è che l'uscita stessa del caso Alexandria sia stata, se non pilotata, quantomeno governata dalla banca nei tempi e nei modi. Di certo il bubbone lo hanno scoperto Profumo e Viola quando sono arrivati a Siena un anno fa. Ma altrettanto certamente è strano che, nonostante di Alexandria si fosse parlato addirittura in tivù, a Report, nel maggio scorso, e pure su blog locali, la ciccia sia venuta fuori solo ora. Cui prodest?

Se è vero che in Mps non fanno i salti di gioia per il tracollo in Borsa e che il Pd di Bersani (che a Siena ha perso le primarie contro Renzi) non esulta per questo pasticcio a 30 giorni dalle elezioni, è però anche sicuro che la magagna stava per venire fuori (almeno altri due giornali erano vicini) e che Mussari era già ampiamente compromesso dal caso Antoveneta. Per questo ci sta tutto il fuoco amico. Con almeno due vantaggi: nell'assemblea dei soci, in calendario da settimane proprio per domani, l'attuale ticket Profumo-Viola può chiedere 4,5 miliardi di aumento di capitale al servizio di soldi pubblici (i Monti Bond per 3,9, più un plus per gli eventuali interessi non pagati), avendo definitivamente chiarito che le responsabilità stanno altrove e che Siena ha voltato pagina.

(Circola anche la voce del commissariamento della Federazione Pd prima delle comunali del 26 maggio). Mentre il principale imputato Mussari da ieri non ha più lo scudo dell'Abi dalla sua. Che poi dei derivati di Mps fossero a conoscenza solo Mussari e il dg Vigni, lo credono in pochi. Ma questa è un'altra storia.

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