Non so dove fosse Landini Maurizio venerdì ventisei settembre del 1980. Aveva diciannove anni mentre a Torino i lavoratori della Fiat vivevano giorni e mesi difficili, era l’autunno caldo e quel giorno, al cancello 5 di Mirafiori, dove stava appeso uno striscione con il volto barbuto di Karl Marx, si presentò Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista. Fu un discorso, il suo, di partecipazione e appoggio alla lotta nella fabbrica dopo l’annuncio dei licenziamenti deciso da Cesare Romiti.
Berlinguer chiarì: "Non sono venuto a Torino per esasperare la dura lotta della Fiat. E non sono qui neppure per scavalcare i sindacati, ai quali abbiamo rinnovato e rinnoviamo il nostro impegno solidale". La triade sindacale era allora composta da Luciano Lama per la Cgil, Giorgio Benvenuto per la Uil e Pierre Carniti per la Cisl. La presenza di Berlinguer fu significativa per ribadire la funzione, il ruolo e la responsabilità del primo grande partito di opposizione. Il giorno successivo Cossiga si dimise, fu crisi di governo ma in Fiat la marcia dei 40mila portò a una soluzione della battaglia dei lavoratori.
Quarantaquattro anni dopo, Maurizio Landini ha annunciato la rivolta sociale, è lui a fare politica, è lui ad occupare il vuoto che i partiti di opposizione, Pd e M5, non riescono a riempire perché la personalità, il carisma, il peso politico di Schlein&Conte non possono reggere alcun paragone con la figura storica del segretario del Pci e la stessa “rivolta” annunciata da Landini non è affatto indirizzata, come fu allora, alla Fiat nei confronti della quale, dei suoi capi, il capo della Cgil ha osservato numerosi minuti di silenzio.
È dunque cambiato lo scenario politico, il sindacato fa quello che i partiti di riferimento non sanno fare, impegnati invece nella lotta non ai cancelli ma al palazzo del governo Meloni in qualunque delle sue azioni.
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