Migranti, riforme, Ucraina: tutte le contraddizioni di Schlein in tv

Ospite dell'ultima puntata di Piazzapulita, la segretaria dem si lascia andare a una serie di notevoli scivoloni su immigrazione, premierato e armi da inviare all'Ucraina

Migranti, riforme, Ucraina: tutte le contraddizioni di Schlein in tv
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Era la terza volta che Elly Schlein si presentava in uno studio televisivo nazionale da quando ha vinto le primarie del Partito Democratico lo scorso 26 febbraio, senza contare la disastrosa conferenza stampa al Nazareno dopo la nomina della sua segreteria. E, per la seconda occasione su tre, l'invito è arrivato direttamente da uno dei suoi più grandi sostenitori a livello mediatico: Corrado Formigli. Nel corso dell'intervista nell'ultima puntata di Piazzapulita, la leader dem – per quanto non esattamente messa alle strette dalle domande del conduttore – è riuscita ad attorcigliarsi in una numerosa serie di clamorose contraddizioni dialettiche che era oggettivamente complicato concentrare in mezz'ora scarsa di faccia a faccia.

Gli scivoloni di Schlein

Si parte dal tema dei migranti. Schlein contesta "agli amici della Meloni" il fatto di avere bloccato la riforma del Trattato di Dublino. Formigli le ricorda che con il Pd di Renzi al governo si potesse avere più forza per cambiare le cose, ma lei ribatte: "Era il 2017, c'era già un altro governo". Vero: peccato che il presidente del Consiglio fosse Paolo Gentiloni, che non era propriamente un estremista di destra. Passando agli accordi con la Libia, Schlein è sempre stata profondamente "contraria al memorandum con la Libia e con la guardia costiera libica" in quando convinta che sia stato proprio questo ad avere "alimentato gli sbarchi". I numeri, tuttavia, le danno torto: da quell'accordo stipulato dal ministro Minniti (estate 2017) gli arrivi di migranti in Italia sono notevolmente calati, fino a quando la situazione in Libia non è riesplosa in tempi recenti.

Sulle riforme costituzionali, la segretaria del Pd ha confermato la sua contrarietà all'elezione diretta del presidente della Repubblica o del capo del governo, per poi aggiungere: "Perché la Meloni è così preoccupata dalla stabilità del suo governo, visto che ha rivendicato di avere finalmente un governo politico con una larga maggioranza?". Probabilmente alla Schlein sfugge che quando si progetta una revisione (condivisibile o meno) di alcuni punti della Carta, lo si fa a prescindere da chi sta a Palazzo Chigi in quel momento storico: gli esponenti politici dovrebbero pensare (inevitabilmente) all'insediamento dei governi che verranno. Però, per lei, le riforme della Costituzione "non sono una priorità". Argomento piuttosto curioso, considerando che si sta parlando dell'atto normativo fondamentale che definisce l'ordinamento giuridico di uno Stato di diritto.

L'ossessione su Rai e merito

È poi il tema delle nomine a scaldare particolarmente l'ex europarlamentare. Nel giro di pochissimi secondi la Schlein riesce a smentire un suo stesso ragionamento: prima dichiara orgogliosamente che lei di nomine "non vorrebbe proprio occuparsi", perché è un tema "che non le appassiona minimamente", poi però ritiene scandaloso che Giorgia Meloni sarà "l'ultima premier ad attuare una lottizzazione, secondo logiche spartitorie della politica, del servizio pubblico", perché Schlein sta pensando a una "riforma complessiva". In che cosa consista questa riforma, non lo vuole però spiegare. Così come finge di non ricordare che la leader di Fratelli d'Italia non sarà nemmeno la prima a occuparsi della Rai. Non sono comunque da meno le aromentazioni sul tema del lavoro e del merito, in cui si lascia andare a una vera e propria supercazzola: "Noi del Pd non abbiamo nessun problema del merito, anzi: sarebbe bene che valesse di più la competenza e il percorso professionale. Ma il problema sorge quando un ministro dell'Istruzione inserisce la parola 'Merito' nel nome del ministero". Qua è veramente fortunato chi riesce a comprendere quello che ha affermato.

Certo, a lei non interessano poltrone. "Noi non abbiamo votato le nomine delle giurisdizioni speciali perché non è stata rispettata la parità di genere e perché l'opposizione veniva schiacciata a soli 3 nomi su 12". La verità è però che, in quella circostanza, il Partito Democratico pretendeva non una, bensì due caselle in cui potere inserire i suoi nomi preferiti, lasciando le altre due rispettivamente ai 5 Stelle e al Terzo Polo: per un totale di 4 posti per l'opposizione invece che 3. Infine, la giravolta sulle armi in Ucraina: "La mia posizione è sempre stata chiara: ho sempre ritenuto necessario sostenere il diritto alla difesa di un popolo invaso, pur non rinunciando a una prospettiva di pace". Peccato che questa sua opinione sia esattamente opposta a quella che rivendicava prima di entrare a Montecitorio. In un'intervista a Repubblica di un anno fa esatto, infatti, dichiarò: "La pace in Ucraina non si fa con le armi. Sosteniamo l'accoglienza, ma è sbagliato aumentare le spese militari".

Una retromarcia dettata dal fatto di potere aspirare seriamente al vertice del Nazareno tre mesi fa. Ecco, in effetti, solo in un ambito il Pd è riuscito storicamente a non effettuare mai un misero dietrofront: quello di raccontare bugie.

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