Pentito tira in ballo il sindaco. Il caso Bari allarma la sinistra

È bufera per l'Inchiesta sulle infiltrazioni mafiose nel Comune pugliese che ora è a rischio sciogliemento. Nel mirino, l'azienda trasporti "servatoio di voti"

Pentito tira in ballo il sindaco. Il caso Bari allarma la sinistra
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Ognun col proprio metro altrui misura. La sinistra che da anni ha campato sull'Antimafia, invocando le dimissioni di chiunque venisse accostato a un boss, oggi si indigna se il Viminale valuta l'infiltrazione della mafia pugliese al Comune di Bari. Il prefetto Francesco Russo (nella foto) si è mosso su input del ministero dell'Interno dopo la maxi indagine dell'1 marzo scorso Posto Fisso della Dda di Bari, 12mila pagine piene di omissis, e l'arresto di 130 persone deciso dal gip Alfredo Ferraro, tra cui Massimo Parisi, fratello del boss Savinuccio, l'ex consigliere regionale Giacomo Olivieri e la moglie Mari Lorusso, consigliere comunale a Bari eletta il 26 maggio 2019 nel centrodestra nella lista Di Rella sindaco e poi passata a sinistra. L'ipotesi dei pm è che i membri dei clan Parisi-Palermiti, Strisciuglio e Montani del quartiere Japigia sarebbero stati contattati direttamente da Olivieri (ora in carcere) per far votare alle Comunali 2019 la moglie (ai domiciliari insieme al padre Vito, medico già sfiorato da vicende giudiziarie). «Se quella (la moglie, ndr) non prende 500 voti a Japigia...», è la minaccia (scherzosa?) Olivieri al telefono coi boss.

Tra gli indagati c'è anche l'assessore regionale ai Trasporti, Anita Maurodinoia (Pd), che secondo alcune intercettazioni sarebbe stata votata in massa (6.400 i voti, a sorpresa) a colpi di 50-70 euro a consenso. Un quadro che il Procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo definisce «estremamente allarmante». Poi c'è Amtab, l'azienda dei trasporti cittadina, controllata al 100% dall'amministrazione guidata dal sindaco Pd Antonio Decaro, considerata un serbatoio di voti e favori e commissariata dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Bari perché «intimidita o assoggettata a clan». «È cresciuta anche l'infiltrazione nelle società di gestione dei rifiuti, con un'alleanza pericolosa tra la criminalità che fa lavorare i suoi uomini e gli imprenditori che smaltiscono i rifiuti in maniera illecita», ha detto in Antimafia il procuratore di Bari Roberto Rossi. Segno che dentro la Procura ci sono altre inchieste che potrebbero ridisegnare i rapporti tra politica e borghesia mafiosa.

La merce dello scambio elettorale politico-mafioso riguarderebbe combine calcistiche ma anche il settore del caffè e dell'automotive, nonché l'Amtab, che si sarebbe prestata ad assumere personaggi legati alle cosche. «Dobbiamo capire quel che può essere accaduto alle loro spalle», dice il viceministro alla Giustizia e coordinatore di Forza Italia a Bari Francesco Paolo Sisto. «Tutti sanno che a Bari c'è un mercato dei voti e l'infiltrazione della criminalità», dice un sibillino Michele Laforgia, vendoliano contrario alle primarie sul dopo Decaro.

Proprio il sindaco sarebbe coinvolto nelle rivelazioni sulle assunzioni sponsorizzate dal clan dell'ex autista Amtab Nicola De Santis detto il pezzato («ero l'occhio del clan Capriati della città vecchia») il cui pentimento il 20 marzo 2017 - quando i boss Pietro Capriati e Gaetano Lorusso gli chiesero di uccidere l'amico d'infanzia Maurio Larizzi - ha consentito agli inquirenti di smantellare la potente organizzazione. «Massimo Parisi si era impegnato nelle elezioni di Decaro nel quartiere Japigia tra il 2008 e il 2010», dice ai pm De Santis come si legge nell'ordinanza. Parisi venne effettivamente assunto sette mesi dopo, quando il sindaco era assessore ai Trasporti. «In una riunione in un bar nella piazza di Torre a Mare, (frazione in cui il sindaco risiede, ndr) a cui partecipai c'era Decaro, il padre Giovanni e Parisi», «ci dissero che avremmo dovuto sostenerlo e Massimo sarebbe stato assunto», al «concorso per autisti organizzato dallo Studio Staff di Roma», già usato nella Regione Lazio a guida Nicola Zingaretti. Frasi che i pm Fabio Buquicchio e Marco d'Agostino hanno allegato all'inchiesta. Eppure lo stesso Decaro, ad oggi estraneo alle indagini, di fronte alla nomina della commissione di accesso agli atti del Comune, a sua tutela e non necessariamente per sciogliere il Comune, perde le staffe e dice che il governo «dichiara guerra a Bari, con un atto sabota il corso regolare della vita democratica». Parole inopportune per un sindaco sotto scorta, irrispettoso di un atto inevitabile e necessario, contro il quale in passato la sinistra non ha mai sollevato obiezioni. Se Decaro non ha nulla da nascondere, di cosa ha paura? Per i pm «c'è stata una parziale e circoscritta attività di inquinamento del voto su cui l'amministrazione ha saputo rispondere».

Il Pd invece fa le barricate contro Matteo Piantedosi, dimostrando ancora una volta che la lotta alla mafia va subordinata alla bagarre politica. Un'occasione persa, ora che sui presunti dossieraggi l'Antimafia è finita sulla graticola.

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