Perché canto "Generale" (che non è di sinistra)

La sinistra mi accusa di furto per la canzone "Generale", un brano che ascoltavo da bambino

Perché canto "Generale" (che non è di sinistra)
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Ora la sinistra ci dice pure cosa dobbiamo cantare. Non bastano i pressanti consigli su chi si possa abbracciare, con chi si possa fare un selfie o a chi si possa concedere l'amicizia su Facebook, ora la sinistra decide anche le canzoni che si possono fischiettare per strada o intonare in una festa paesana. La stessa sinistra che nei suoi più virulenti rigurgiti democratici vorrebbe imporre Bella ciao quale controcanto dell'inno nazionale, magari con tanto di obbligo di fazzoletto rosso al collo mentre la si intona.

Secondo Lorenzo Tosa avrei pertanto rubato Generale di Francesco De Gregori al campo largo e ai progressisti, che di generali ne vorrebbero qualcuno per serrare i loro ranghi che oggi appaiono scomposti e disarticolati. Stanchi di trattare di tasse (vecchia ossessione della sinistra), di ladruncoli da proteggere, di migranti (che in realtà sono risorse a cui regalare la nostra cittadinanza), di minoranze (purché non caucasiche, eterosessuali, oneste e sane portatrici di valori tradizionali dell'Occidente), oggi la sinistra al caviale vuole arricchire il suo già folto programma politico con le dolci note della musica per sconfiggere, a colpi di pentagramma, i pericolosi rigurgiti di nazionalismo estremista.

Generale la fischiettavo da bambino, sulle spiagge di Marina di Ravenna, quando qualche bagnante inseriva la moneta da 100 lire nel juke-box e ci regalava qualche minuto di melodia nelle calde giornate di agosto. I cantautori la facevano da padrone e, quando non era De Gregori, i pulsanti che venivano premuti corrispondevano quasi sempre alle canzoni di Dalla, Bennato, De André, Rettore, Patty Pravo, le cui strofe tutti, indistintamente, cantavamo a memoria sotto la veranda dello stabilimento balneare.

E mi fa sorridere, quindi, quest'idea di furto recidivo. Forse chi lo afferma non ha ascoltato bene le parole di De Gregori così come chi critica il mio libro, generalmente, non lo ha proprio letto. La sua Generale non è né di sinistra né di destra: è una canzone sulla guerra, sulla sofferenza umana e sul ritorno alla pace. Il messaggio è chiaro: la guerra lascia cicatrici indelebili, e la vera vittoria è nel tornare a casa, nel ritrovo della famiglia e della vita normale, nella pace. E pensate quanto tradizionalista poteva essere il Francesco nazionale quando parla di funghi, di sughi mescolati da donne premurose sotto Natale e di nonne che cullano amorevolmente i bambini, i tanti bambini che di andare a letto proprio non ne vogliono sapere. A pensarci bene un po' patriarcale lo è anche il nostro cantautore. E poi, perché le infermiere sono sempre donne? Anche un po' misogino, direi!

Ma è il messaggio sulla guerra quello più importante e che mi convince a pensare che io, la canzone, l'ho capita molto meglio della sinistra. Oltre ad aver vissuto sulla mia pelle - al contrario di Lorenzo Tosa - quei momenti bellissimi in cui, poggiate le armi, si saliva su un volo per tornare dai propri cari. Nella recente discussione in Parlamento sul conflitto in Ucraina, infatti, sono stato tra i pochissimi che hanno sottolineato l'importanza di cercare una via diplomatica per evitare ulteriori devastazioni e sofferenze e per fermare uno scontro che, sino ad ora, non ha prodotto alcun risultato. Proprio come nella canzone, dietro ogni collina c'è solo silenzio e funghi... Ma chi vuole altri aghi di pino e silenzio nei villaggi devastati dalla guerra? E proprio la sinistra, quella che si vorrebbe arrogare il diritto di appropriarsi delle rime di De Gregori, è quella che invece ha votato a favore della risoluzione che ci promette guerra ad oltranza alla ricerca di una vittoria indefinita e, molto probabilmente, irraggiungibile.

Ma ideologizzati come sono e sempre pronti a rinnegare tutto, nonostante i voti in Parlamento, non si daranno per vinti e continueranno a insistere sul furto della canzone che, ormai, potrà essere cantata solo con una kefiah attorno al collo.

Allora cedo e, non sopportando le sciarpe sfrangiate, chiedo il conto per l'affronto di cotanta appropriazione indebita. Pagamento rigorosamente non in contanti, per evitare qualche orrida ed estremista pratica del Ventennio.

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