Vacanze record per i giudici. Ogni anno riposano 51 giorni

I tribunali sono sepolti sotto milioni di procedimenti penali e civili arretrati, ma questo spaventoso debito giudiziario non intacca antiche certezze

Vacanze record per i giudici. Ogni anno riposano 51 giorni

Il sabato è rarefatto, la domenica viene santificata senza eccezioni. E poi c'è l'estate, la lunga stagione del riposo: dal penultimo lunedì di luglio - quest'anno dal 22 - alla metà di settembre la magistratura italiana lavora a ranghi ridotti. Quel periodo è chiamato infatti feriale e questo significa che si fanno solo i processi urgenti: quelli con detenuti, quello di Berlusconi in Cassazione, a rischio prescrizione, pochi altri. Le toghe vanno in vacanza, anche se più di un giudice spende uno spicchio del presunto ozio per scrivere sentenze chilometriche e faticose. La giustizia tricolore, si sa, arranca: i tribunali sono sepolti sotto milioni di procedimenti penali e civili arretrati, ma questo spaventoso debito giudiziario non intacca antiche certezze: dal 1° agosto al 16 settembre, dunque grossomodo in coincidenza col periodo feriale, c'è la cosiddetta «sospensione dei termini». I tempi della procedura vengono semplicemente congelati e tutto si ferma perché il solleone complica la vita. Non sarà una casta, definizione che i diretti interessati respingono con sdegno, ma la magistratura dispone davvero di un tesoretto che non ha eguali nella società: quarantasei giorni di vacanze canoniche, più i cinque delle festività soppresse, come San Giuseppe e il 29 giugno. In totale, fanno 51 giorni. Un record, sia detto con invidia.

E si capisce come già nel '98, ormai 15 anni fa, l'avvocato di rito ambrosiano Gaetano Pecorella, che conosceva bene la controparte con cui si confrontava tutti i giorni a Palazzo di giustizia, appena eletto deputato presentò una proposta di legge per accorciare quella lenzuolata. «Naturalmente non se ne fece nulla - racconta al Giornale il penalista che per alcuni anni ha difeso anche il Cavaliere - il mio progetto si è perso in un cassetto come quelli successivi».

Tutti sanno che il numero 51 sul pallottoliere del riposo è un miraggio: gli operai hanno diritto a 4 settimane di ferie; gli impiegati qualcosa in più: le solite 4 settimane, dunque 28 giorni, fino a 10 anni di anzianità; quattro settimane più un giorno se l'anzianità sale ed è compresa fra i 10 e i 18 anni; quattro settimane più sei giorni, dunque 34, se si lavora da più di 18 anni. Gli insegnanti si attestano più o meno sulle stesse cifre, i giornalisti vanno più in là e sono, col maturare della professione, dei privilegiati: dopo quindici anni in trincea un cronista gode di quaranta giorni di vacanze. Ma attenzione: nei quotidiani, e non solo in quelli sportivi, il sabato e la domenica, sono come il lunedì e il martedì e lo stesso calendario cancella i week end con relative aspirazioni di chi informa dallo schermo della tv.

Nelle cittadelle giudiziarie questi problemi non ci sono, è vero che i dibattimenti si celebrano con anni e anni di ritardo, ma le vecchie consuetudini non vengono scalfite. Certo, anche due settimane in più nelle aule e in udienza darebbero un filo di sollievo ad un settore perennemente in ritardo su qualunque tabella di marcia, ma i giudici, in coro, respingono le proposte alla Pecorella: sarebbero solo suggestioni. E ributtano la palla dall'altra parte: «Se abbreviamo le nostre vacanze - spiega al Giornale Fabio Roia, magistrato di lungo corso al tribunale di Milano ed ex componente del Csm - a ribellarsi non siamo noi magistrati ma gli avvocati. Sono loro a non volere, per ovvie ragioni, le udienze in agosto: in quel periodo gli studi legali chiudono e tutti vanno al mare».

Insomma, le riforme, secondo la più consolidata tradizione di casa nostra, evaporano prima ancora di essere scritte. Scintille, polemiche, grandi ragionamenti e poi tutto come prima. E a voler essere perfidi ci sono giornate strategiche, piazzate a ridosso dei ponti, che offrono cartoline edificanti da Milano a Roma e da Nord a Sud: casualmente la folla che si aggira quotidianamente fra i corridoi e le aule si dirada in un clima semifestivo. A volte basterebbe poco, anche un segnale minimo, per invertire il trend: l'allora presidente del tribunale di Roma Luigi Scotti spiegò al Giornale qualche anno fa la sua tecnica per risvegliare l'impegno dei colleghi un po' distratti. All'ora del caffè girava come un preside da una stanza all'altra.

E quando, con fastidiosa insistenza, s'imbatteva in una scrivania vuota, lasciava un bigliettino di saluti, naturalmente affettuosi. Miracolo: la produttività registrò un'impennata. Oggi si accelera giusto per il Cavaliere: ci fosse sempre lui di mezzo, la nostra giustizia sarebbe la più veloce del mondo.

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