«Che ti avevo detto?». Antonio Cassano, al tavolo del ristorante con moglie, mamma e amici d’infanzia più il suo biografo ufficiale (Pierluigi Pardo di Mediaset Premium), sembrava reduce da una serata memorabile. E invece aveva solo «azzeccato» il pronostico reso nell’intervista a il Giornale sul protagonista della sfida. «Che ti avevo detto io?» continuava a ripetere Cassano nella notte dell’incanto milanista dopo quei tre petardi che hanno illuminato la strada verso lo scudetto. Di Pato, il magico eversore del Napoli, si erano perse le tracce subito le interviste canoniche. Anche perché il brasiliano ha rischiato grosso, lunedì sera. Ha rischiato sul secondo gol quando ha ignorato Ibrahimovic, smarcato faccia alla porta, per indovinare la traiettoria complicata destinata alla zampata di Boateng. «Se non ci fosse stato il gol, mi immagino il casino che avrebbe fatto Ibra» il sospiro di sollievo di un addetto ai lavori. Ma forse, è da questi particolari, come cantava De Gregori, che si giudica un giocatore, un giocatore con le stimmate del fuoriclasse bisognerebbe aggiungere nel caso del Papero che sta diventando un uomo, mese dopo mese, sbattendo il muso contro infortuni e sgambetti della sorte, misurandosi con le personalità gigantesche di molti sodali (i cicchetti di Ibra e Gattuso, per esempio), senza diventare un pulcino bagnato. A chi non è distratto, un altro dettaglio di sicuro non è sfuggito: è stato Pato, il primo, a montare sulle spalle di Ibra con le braccia spalancate come il Salvatore sulla montagna di Rio.
«Qui al Milan siamo tutti fratelli» è la sua frase di zucchero filato che spande nei microfoni dell’etere per far capire che neppure la partenza di Kakà e di Ronaldinho, le sue muse, riescono a deprimerlo o ad oscurare il talento finissimo. «Ma chi può discutere uno che fa gol ogni partita?» chiede col ghigno satanico Galliani che ha sotto gli occhi la statistica giusta, uno squillo di tromba ogni 96 minuti, una rete a partita grosso modo, una specie di assicurazione sulla vita per una squadra di calcio, qualunque sia il suo status e il suo obiettivo stagionale. Quello che gli manca, per scalare la montagna e segnalarsi alle cronache continentali, è una serata doc anche in Champions, il suo destino inevitabile visto che Cassano è out e che c’è da rimontare il pesante passivo dell’andata (0 a 1, servono due gol minimo per riacciuffare l’eliminatoria).
Il cambio di passo, di Pato, e del Milan, è avvenuto proprio tra Verona (Chievo) e Napoli, nella curva più insidiosa di febbraio. Allora aveva perso il posto, a favore di Fantantonio, adesso nessuno è pronto a discuterlo, anche se dovesse collezionare qualche altra perla, anche se dovesse ignorare Ibra e cercare un’altra volta Boateng oppure sorprendere De Sanctis invece di lanciare sulla corsa lo svedesone. E persino le domande più insidiose, sul suo privato, non lo spaventano più di tanto se è vero che proprio dai microfoni di Mediaset premium è arrivato il quesito in stile gossip «cosa c’è tra lei e Barbara Berlusconi?» con replica secca («siamo solo amici»). È rimasto seccato solo Pippo Sapienza, l’addetto-stampa che ha tirato via il Papero dalla telecamera per mandarlo a casa, a riposare a godersi la meritata gloria.
Niente potrà sottrargli lo stato di grazia che lo ha raggiunto, dopo un anno, il 2010, passato tra fisioterapisti e medici a interrogarsi sui ripetuti acciacchi muscolari. Adesso deve stare bene anche di testa, come si capisce al volo interrogando per esempio Allegri che lo ha visto crescere sotto i propri occhi, come un ciambellone della nonna.
A leggere le agenzie sono in arrivo altre foto sulla sua amicizia con Barbara Berlusconi. Allora è il caso di dirlo: se questo è l’effetto su Pato, che siano amici per la vita.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.