L'attentato ai Presidenti degli Stati Uniti? Moltissimi scrittori americani, e non, hanno raccontato o addirittura previsto i tentativi e gli omicidi riusciti (non solo il tentativo di colpire Donald Trump) tra complotti, teorie e vere profezie. Nel 2017 Sam Bourne, firma del Guardian, in To kill the President (inedito in Italia ma bestseller mondiale per HarpersCollins) racconta di un assistente legale della Casa Bianca che individua un complotto per assassinare un presidente controverso appena eletto che, sebbene non venga mai nominato, è Donald Trump. Vincendo inaspettatamente le elezioni contro una candidata democratica questo «imbroglione e bigotto» ha sconcertato le istituzioni politiche e mediatiche con «i tweet, le bugie, la grottesca cattiva condotta, gli atti di aggressione ingiustificata». E, nel romanzo, l'unica soluzione sembra tentare di assassinarlo.
Anche i più convinti detrattori di Trump potrebbero avere problemi di coscienza sulla morale del libro anche perché abilmente Bourne intende indurre questo disagio con un finale aperto che lascia a noi la riflessione su come il dibattito politico americano alzi sempre più il tiro, su come la parodia narrativa di Trump possa portare a una «guerra civile», una delle frasi più ricorrenti del romanzo insieme a «Non è il mio Presidente».
Tra i primi a immaginare uno scenario simile è stato il Premio Nobel Sinclair Lewis che nel 1935 pubblicò il romanzo distopico Da noi non può accadere, un avvertimento agli americani di come la loro democrazia fosse più vulnerabile di quanto credessero. Gli Stati Uniti sono dilaniati da un politico a dir poco eccentrico che usa la paura e le promesse vuote rivolte alla classe operaia per vincere le elezioni prima di consolidare il proprio potere, per poi distruggere le tradizioni di governo, infrangere le leggi che lo limitano e fomentare paranoia e divisione. Da questo romanzo ha tratto ispirazione la famosa serie televisiva degli anni 80 Visitors e negli ultimi tempi il regista del serial-tv ha dichiarato di essere invaso da mail: «QAnon ha adottato un'intera tesi secondo cui i Democratici sono alieni mascherati».
Don De Lillo in Libra (1988) concentra la sua narrazione postmoderna sulla figura di Lee Oswald, raccontando i luoghi ancora oscuri sull'assassino di John Fitzgerald Kennedy. Al termine degli anni Settanta, invece, Stephen King aveva rielaborato a modo suo il tema dell'omicidio politico nel romanzo La zona morta (1979), portato poi sul grande schermo nel 1983 da David Cronenberg: il protagonista Johnny Smith risvegliatosi dopo un coma di quattro anni, scopre di possedere un dono inquietante: toccandole, è in grado di avere visioni del futuro delle persone. Un giorno stringe la mano di un ambizioso uomo politico e nella sua mente si delinea l'immagine di una terribile profezia: un giorno diventerà presidente degli Usa e porterà il mondo alla rovina. Decide quindi di agire, ma fallisce nell'ucciderlo. Lo stesso King, in una intervista del 2019, dichiara che in La Zona Morta: «La fiction ha anticipato Trump... e l'ha sempre descritto come un incubo. Ora l'incubo è qui. Ma non voglio imporre la mia visione politica sulla gente». Sempre Stephen King torna sull'argomento decenni dopo in 11/22/63 immaginando che cosa sarebbe accaduto se l'attentato a JFK non avesse avuto luogo.
Nel romanzo fantascientifico del 1963 L'uomo dell'alto castello (più noto con la libera traduzione italiana La svastica sul Sole): Philip K. Dick immagina una storia alternativa della realtà in cui il Presidente degli Usa Franklin Delano Roosevelt, diversamente da quanto effettivamente accaduto (è scampato all'attentato) è stato assassinato causando la prosecuzione della Grande depressione e l'isolazionismo degli Stati Uniti allo scoppio della Seconda guerra mondiale.
Non ultimo James Ellroy che nella trilogia iniziata con American Tabloid (1995) - seguito da Sei pezzi da mille (2001) e da Il sangue è randagio (2010) - (ri)scrive la storia degli Stati Uniti nel periodo dal 1958 al 1972. Il grande scrittore racconta come l'America, contrariamente al mito confezionato dall'establishment dell'informazione, abbia perso l'innocenza ben prima dell'assassinio di Kennedy. Lo stesso JFK viene smitizzato e decostruito, mostrato sotto una luce impietosa che rende visibili i suoi rapporti con il crimine organizzato, la sua ricattabilità per le avventure sessuali, l'odio provato nei suoi confronti dalla destra razzista, dal capo dell'Fbi Edgar Hoover e dai cubani anticastristi che pretendevano da lui un'azione militare per rovesciare il governo dell'Avana.
Tra complotti e ricerca della verità sull'omicidio JFK, James Ellroy anticipa come il «sogno americano» sarebbe finito così: «nel centro del mirino», citando la frase di Biden riferita al pericolo da sventare della vittoria di Trump. Peccato che Biden non sia un romanziere.
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