All'epoca, Sangue di cane fu un piccolo caso. Il libro uscì per Laurana, era il 2010; l'incipit è folgore e incudine, bucranio d'angelo infoiato: «Marcin era morto. Io avevo i pidocchi. Cioè successe nello stesso momento, Marcin cagava sangue, stava morendo, beveva e cagava sangue. Io invece avevo prurito ovunque, dietro la nuca soprattutto». Io stavo con Slawek, Slawek Raczinski di Radom, Polonia». Si entra così in un rutilante mondo di storpi nel cuore, di battone e battuti, di ubriachi e di fuggiaschi, in una Siracusa demoniaca, in una Siracusa Transilvania. Dicono esista una sorta di rettitudine tra i reietti: la donna che parla, nel libro, pare, per autorevolezza nella pietà, perché ripara il debole dal vomito e salva l'ultimo omero di bene dalle sanguisughe, dalle sordide iene, una Madonna di Piero della Francesca ieratica pur nell'ira.
Del romanzo, dicevo, si parlò molto. Giovanni Pacchiano, sull'inserto domenicale del Sole 24 Ore, ne scrisse come di una narrativa «non omologata linguisticamente». Giulio Mozzi, che aveva seguito le sorti di quel libro fin dall'utero manoscritto, tentò, dichiarandolo in pubblico, di candidarlo allo Strega. Dopo quel chiasso, non capitò molto. Veronica Tomassini continuò a pubblicare libri d'ineffabile vigore, libri che, messi assieme, compongono una specie di compianto, come il Compianto sul Cristo morto di Niccolò dall'Arca a Bologna, con quelle figure di carne e di vento, sfigurate dal grido, eppure leggiadre alla tirannia a baldacchino di quel dolore, insopportabile. Nel 2020, schifata da un sistema editoriale che l'ha relegata a paria, a Madre Teresa della letteratura, Veronica Tomassini si è pubblicata, in proprio, Vodka Siberiana. Quel libro, ancora una volta, per quello stile, statuario e stravolto, per quell'indole, da belva braccata, fece chiasso. Dal 2022 La Nave di Teseo comincia a pubblicare, a partire da L'inganno, i libri di Veronica Tomassini; quest'anno, per quell'editore, ritorna tra noi Sangue di cane (pagg.
282, euro 18): «Dovevo raccontare, non era possibile che raccontare. Era l'unico senso forse di quella vita eretta in bilico, la pietra di scarto che indossava l'orrore per gli altri. Io la chiamerei pietà», scrive oggi l'autrice.
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