L'ombra di Ceausescu sull'ex calciatore "Gica" Popescu

L'accusa di un quotidiano rumeno: il difensore della Nazionale (e di Barcellona, Galatasaray e Lecce) negli anni Ottanta sarebbe stato un informatore del regime. Secca la smentita: «Mai stato una spia, ho solo firmato un documento di lealtà». Ma tra calcio e regimi ex comunisti...

MATA HARI CHI? A Lecce non sembrava. Gica in Salento sorrideva senza occhiali da sole, senza microfoni imboscati, senza bussare alle porte per tre volte mormorando parole d'ordine. Era la stagione 2001-02 e tra i giallorossi che scivolarono in serie B giocava Gheorghe Popescu, «golem» di un metro e ottantotto per un peso imprecisato più vicino ai 90 che agli 80 kg. Gica, come lo chiamavano in Romania, era a fine carriera (Psv Eindhoven, Tottenham e Galatasaray i club più gloriosi in cui aveva giocato) e aveva alzato qualche coppa, perfino col Barcellona. Era una vecchia gloria che per svernare aveva preferito l'Adriatico al canale di Lubecca o al Mar Nero. Ecco, quel marcantonio con la mandibola occidentale e quelle rughe verticali che sanno di nebbie e Cortina di ferro, secondo qualcuno era stato non solo un buon difensore della nazionale rumena, ma pure un agente segreto del regime di Ceausescu. Una Mata Hari lievemente meno affascinante.
«TUTTE BUGIE». Lo scoop, di quelli che riemergono a cadenza regolare dalle segrete carte degli archivi dell'Europa dell'Est, lo ha sventolato in prima pagina il quotidiano «Adervaul»: negli anni Ottanta Gica avrebbe svolto il compito di osservatore per la polizia segreta. La Securitate, mica il corpo dei rangers del parco di Yellowstone. Una delle più temibili organizzazioni militari europee insieme alla Stasi della DDR. Secondo il giornale, Popescu sarebbe stato pappa e ciccia con i colonnelli, fornendo informazioni su compagni e su Paesi stranieri in cui si recava per giocare. Una storia non nuova, nello sport, dove più o meno ogni singolo atleta che portasse una falce e un martello sulla divisa sociale poteva essere visto come spia del regime. Una storia che Popescu ha definito «un'enorme bugia».
PASSI SE È LA PRASSI. In realtà, tutto sembra si riducesse a una firma. Apposta sotto un documento generico in cui gli sportivi si impegnavano «a difendere gli interessi nazionali». Soprattutto perché, con le frontiere chiuse, negli anni 70 e 80 gli sportivi erano i veri ambasciatori dei Paesi dell'Est nel mondo. Logico dunque che i vari regimi si premunissero nell'indottrinare o almeno nell'ammonire i loro assi a non fare scherzi (leggasi diserzioni, esilii, fughe, interviste poco carine con la stampa straniera). Ed è questo che ha voluto chiarire Popescu, «molto infastidito» per queste voci: «La mia coscienza è pulita, non ho fatto l'informatore su nessuno».
ZOLLE, MANI E POTERE. I rapporti tra il calcio e il potere politico oltre il muro di Berlino, comunque, sono sempre stati molto stretti. Pallone, propaganda, orgoglio nazionale e qualche testa calda sono un cocktail difficile da digerire. Si va dai calciatori della Stella Rossa di Belgrado che quando vinsero la Coppa Intercontinentale nel 1991 vennero accolti dal criminale di guerra Arkan e dalle sue Tigri che donarono a ogni giocatore una zolla della Slavonia appena sottratta ai croati a colpi di genocidi. Si arriva alla stessa Romania dove per anni è circolata una storia proprio con protagonisti la famiglia Ceausescu e un calciatore. Si tratta del portiere dello Steaua Bucarest campione d'Europa nel 1986, Helmut Duckadam, diventato «Eroe di Siviglia» ed eletto sportivo dell'anno per aver parato tutti i rigori calciati dal Barcellona nella finale di Coppa dei Campioni vinta dai rumeni. Ecco, pochi mesi dopo però Duckadam smise di giocare per un problema alle mani. Ufficialmente (e nel 2007 lo stesso portiere lo ha confermato) per una trombosi che gli fece rischiare l'amputazione degli arti. La leggenda invece parla di un regolamento di conti avuto con il figlio di Ceausescu, Valentin, irritatosi perché Duckadam si era rifiutato di regalargli l'automobile avuta in dono per la vittoria della coppa.

Un piccolo scambio di vedute terminato con qualche brutale agente della Securitate che spezzava le mani al portiere. Leggenda nata dalle paure di regimi ormai destituiti, o verità plumbea di anni storti. Anni in cui non era strano che un calciatore potesse diventare una spia.

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