"L'alta cucina non mi piace. Per me il gusto è solo qualità"

Lo chef stellato ospite d'onore di Taste alla settimana del food: "Voglio che la gente impari a sperimentare"

"L'alta cucina non mi piace. Per me il gusto è solo qualità"

La settimana del food entra nel vivo e alle ex Varesine, dove si è appena inaugurata la fortunata kermesse Taste of Milano, le squadre di chef si avvicendano per far provare al pubblico i propri menù in versione pop. Domani, tra gli altri, toccherà allo stellato Andrea Berton esibirsi in un menù di quattro piatti alla portata di tutti. Reduce dalla pubblicazione del suo libro dall'emblematico titolo «Non è il solito brodo», lo chef friulano presenterà tre invenzioni appositamente create per il weekend di Taste, più uno dei suoi cavalli di battaglia: code di gamberi rossi in gelatina di amaranto. In queste come nelle altre ricette le parole d'ordine sono creatività e leggerezza. «Sono un dovere - dice Berton - per un cuoco contemporaneo; non ho la presunzione di fare il nutrizionista, ma la piacevolezza del cibo vale zero se non è preceduta dalla massima attenzione per la genuinità degli alimenti».

Perchè un cuoco blasonato come lei sente il bisogno di scendere in un'arena pop?

«Perchè non si finisce mai di imparare dal confronto con il pubblico, e anche perchè sono convinto che la gente debba ancora imparare a conoscerci bene, magari per scoprire un mondo che prima guardava con curiosità ma anche con una punta di diffidenza».

Beh, spesso il freno è legato anche ai prezzi dei ristoranti stellati, e questo forse giustifica il successo di una manifestazione relativamente popolare come Taste...

«È un discorso complesso. Premesso che ho aderito a Taste perchè lo considero un evento di qualità, devo anche dire che il problema dei prezzi è relativo se confrontiamo l'esperienza italiana con quella di altri Paesi europei. Faccio un esempio: in Francia anche un operaio almeno una volta all'anno si concede il piacere di mangiare in un ristorante con tre stelle Michelin perchè è convinto che la ricerca sul cibo sia un'esperienza che arricchisce lo spirito e la cultura».

Molti suoi colleghi diversificano con la versione «bistrot». Lei stesso, oltre al ristorante stellato, ha creato il «Pisacco» e il «Dry» nel quartiere della movida.

«Diversificare è giusto, oltre che democratico. I prezzi di un ristorante stellato sono legati non solo al nome dello chef ma anche alla struttura, alla brigata non paragonabile a quella di un ristorante normale e, non da ultimo, dall'estrema qualità degli ingredienti. Detto questo, progetti come Pisacco sono un valore aggiunto perchè sposano la qualità degli ingredienti alla velocità della lavorazione».

Taste è uno degli eventi clou di questa settimana dedicata al cibo, che è la summa del mare magno di eventi e festival enogastronomici di questi anni. Il food non comincia a essere un argomento un po' inflazionato?

«Direi proprio di no. Anzi, tutte queste manifestazioni dimostrano che più si parla di questi temi e più la gente è incuriosita e manifesta interesse e voglia di conoscenza».

I programmi televisivi hanno fatto la loro parte...

«Penso sinceramente che i miei colleghi sui media abbiano fatto un buon lavoro, anche perchè si tratta di grandi professionisti. Devo anche aggiungere che in Italia siamo arrivati in ritardo perchè in altri Paesi sulla qualità del cibo si fa gran battage da molti anni».

La cucina italiana dove sta andando?

«Per me resta la più interessante e la più ricercata; in questi anni ha anche affrontato importanti cambiamenti grazie a maestri come Massimo Bottura che li hanno diffusi nel mondo».

E l'alta cucina che futuro ha?

«È un aggettivo che non mi è mai piaciuto. la cucina o è buona o è cattiva».

giandomenico.dimarzio@ilgiornale.it

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