Va via con una magnum di champagne sotto il braccio: «La prendo per evitare che cada». Sarebbe un peccato, proprio ora che è arrivato il momento di festeggiare. E, finito questo periodo «di fuoco», la promessa è di trovarsi a brindare insieme «come se non ci fosse un domani». Matteo Salvini lo si può capire solo così: standogli molto vicino, in mezzo alla sua gente, in mezzo alle persone a cui non dice mai di no. Non lo dice agli «studenti» della Scuola di formazione politica che ieri in 200 a Milano hanno seguito il suo intervento di chiusura: uno scatto con ciascuno, una firma su ogni attestato di frequenza. Lo stesso sorriso per duecento volte. E loro, i fan, scendono dal palco, contenti. «Il nostro capitano è in forma come sempre», sorride Nicoletta, militante della Nazione Emilia, quella che raggruppa le sezioni della regione rossa dove il Carroccio ha avuto un incredibile exploit. Perché i raggruppamenti regionali si chiamano ancora «nazioni» e militanti lo ricordano bene: «Siamo rimasti un partito federale». E la svolta nazionale? «Matteo ha voluto così ed ha avuto ragione».
Rimangono vive dunque, anche in questa nuova Lega ammiraglia del centrodestra, anime apparentemente in contrasto. E a tenerle insieme c'è lui. Il leader dal cipiglio arrabbiato, ma anche capo di un partito che oggi detta la linea. In effetti, spiega ai corsisti, «si sono stupiti perché la Lega ha eletto tanti parlamentari al sud», ma «noi stiamo unendo l'Italia e la trasformeremo in un Paese efficiente, moderno e federale». Recupera, quindi, nell'immediato post elezioni anche un federalismo di bossiana memoria che «fa bene a Palermo, come a Como e a Latina». Poi illustra: «Il nostro sarà un Paese capitanato da sindaci, gli unici a cui spettano pieni poteri perché eletti dai cittadini». E così torna in mente il Matteo Renzi ancora sindaco di Firenze e proiettato alle primarie nazionali. Che lui attacca, come fosse ancora sui banchi della minoranza: «Il mio omonimo è a sciare o a giocare a tennis. Avrà molto tempo libero da qui in avanti».
Queste le altre due anime che deve tenere insieme il Salvini di oggi: quella dell'opposizione e quella che vuole essere primo partito. Il Matteo che prese «la tessera della Lega 28 anni fa», può essere capo di entrambe: quella di lotta e quella di governo. Non abbandona il linguaggio aggressivo verso gli avversari, anche quelli che non ci sono più: «Monti, Renzi, Letta... i ventriloqui dei fax sulle manovre economiche mandati da Bruxelles», tuona dal pulpito, seguito da un applauso. Eppure vuole «parlare a tutti indistintamente». E gli astanti sono d'accordo: «Siamo scomodi perché diciamo la verità». Anche ora che hanno numeri da maggioranza.
Infine è lo stesso Matteo che può essere leader «disintermediato» da 2 milioni di follower su Facebook e ideatore, insieme ad Armando Siri, di una scuola di formazione di partito, stile vecchio Pci. «La sua forza è l'autografia: è lui che scrive i post», confessa Luca Morisi, capo della comunicazione web.
Ma al tempo stesso «gira sezione per sezione» a galvanizzare dirigenti e a tenere insieme i territori». E a fare nuovi iscritti: «Anche a Roma, dove abito, non è più un tabù simpatizzare per la Lega: molti l'hanno votata convintamente», dice Francesco che è pronto a prendere la nuova tessera. Quella senza la parola Nord.
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