Alessia Denaro è al secondo libro per ragazzi. Dopo Il castello della felicità (Salani, 2021) è tornata con Il tesoro di Moncalbio (Salani, pagg. 320, euro 15,90). Siciliana di Siracusa, ha alle spalle un percorso non letterario.
Lei è una giurista...
«Avvocato per vent'anni, in uno studio internazionale; finanza e diritto bancario. Poi sono arrivati i figli e il momento dei bilanci. Ho fatto un corso di scrittura, con Nadia Terranova, che già conoscevo, essendo io da sempre lettrice di letteratura per ragazzi, e grande amante del fantasy. Harry Potter, ma anche quello che non è strettamente per ragazzi».
Il tesoro di Moncalbio è un libro fantasy?
«Non nell'accezione comune classica anglosassone, ma in una versione più italiana; in fondo anche Pinocchio è un fantasy. Diciamo che ci sono degli innesti fantasy in un racconto che dovrebbe essere un po' più reale. Parto dal mondo contemporaneo, per poi pescare non nell'immaginario nordico, ma nella tradizione contadina italiana».
Un immaginario folk, un po' come quello delle fiabe di Italo Calvino?
«Sì, parto dalla storia di una ragazzina che vive a Roma. La madre la abbandona per un lunghissimo viaggio di lavoro e il padre va a vivere con la nuova compagna in questo paesino della Maremma. Vivendoci, ho studiato i racconti folkloristici toscani, i folletti, i buffardelli, gli gnepri. La bambina, sola, abbandonata, è l'unica a vederli».
I bambini senza genitori sono diversi dagli altri?
«Sia per l'abbandono fisico sia per l'abbandono affettivo. È anche una necessità narrativa: togliere i genitori per dare al ragazzino la possibilità di esplorare il mondo».
È la storia di una famiglia allargata.
«La compagna del padre, Petra, è raccontata dal punto di vista della protagonista, la undicenne Celia. Petra è una persona dalla scorza dura, poi si rivela tutt'altro. Le famiglie allargate sono un tema che mi sta a cuore. Io sono sposata e ho quattro figli, due di pancia e due di cuore, i due di cuore sono i gemelli del mio primo marito. Gli altri sono i gemelli che abbiamo avuto noi. Il libro è un omaggio a mia madre Clelia, anche lei abbandonata per un paio d'anni dai suoi genitori. Celia a Capalbio trova degli amici fantastici...».
Capalbio? Quella della sinistra chic?
«Moncalbio è Capalbio, il mio posto del cuore dove abbiamo passato il lockdown. Ma non potevo chiamarlo Capalbio, dovevo evitare i pregiudizi».
Ha fatto una scelta di
vita: lasciare una professione sicura per fare la scrittrice...«Una questione non soltanto economica, ma identitaria. Io dicevo sono avvocato, poi ho cominciato a dire faccio l'avvocato. Adesso faccio la scrittrice».
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