Perdita costante delle capacità cognitive, distacco dalla realtà, incapacità di comunicare, rarefazione della memoria, alterazione del ritmo sonno-veglia. LAlzheimer è una malattia devastante. Con cinismo, la scuola medica di Harvard ha lanciato un messaggio preoccupante: «questi malati sembrano vivi ma sono già spenti». Da sessant'anni a questa parte, le ricerche sull'Alzheimer si sono intensificate, di pari passo con l'esplosione di questa patologia. Abbiamo a lungo creduto che colpisse gli ultra ottantenni. Oggi le evidenze permettono di abbassare questa soglia da 80 a 60 anni.
Le statistiche fanno paura: un ottantenne su tre (senza differenze di sesso) va incontro a questa grave forma di demenza, che rappresenta la quinta causa di morte nella terza età e che richiede un'assistenza continua. Il prestigioso Journal of Biological Chemistry ha pubblicato nel suo ultimo numero i risultati di una ricerca condotta dalla dottoressa Tiziana Borsello, che dirige il laboratorio di morte neuronale e neuroprotezione dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. Tale ricerca apre spiragli di speranza nella terapia dell'Alzheimer perché riesce ad inibire l'enzima JNK, responsabile della neurodegenerazione cellulare, e la proteina Amiloide cui risalgono le complicazioni neurotossiche. «Abbiamo sperimentato sui topi - dice la ricercatrice - un peptide che si è dimostrato in grado di annullare i deficit cognitivi ed altre alterazioni prodotte dalla malattia senza causare effetti collaterali.
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