Nell’aprile 2013, ultimi giorni del governo Monti dopo le elezioni, si scopre che la presidenza del Consiglio aveva incaricato il ministero degli Esteri di indagare su tre sgherri di Tito per accertare se siano ancora in vita. Il maresciallo jugoslavo che fece infoibare gli italiani si è portato la più alta onorificenza della nostra Repubblica nella tomba. E nessuno potrà cancellarla fino a quando non cambierà la norma che permette la revoca solo ai vivi. Nel 2013, però, almeno due fedelissimi di Tito, Cavalieri di Gran Croce al Merito della Repubblica italiana, erano ancora vivi. Uno, Marko Vrhunec, commissario politico della brigata Lubiana e dopo la guerra segretario di Tito e ambasciatore sarebbe fra noi ancora oggi, anche se malato, nella capitale della vicina Slovenia. Peccato che il ministero degli Esteri del governo Letta, che è succeduto a Monti e quelli dopo non abbiano mai fatto nulla. In pratica continuando ad avallare la vergogna dei più alti riconoscimenti italiani concessi dal Quirinale agli uomini di Tito boia degli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia. Nonostante Vhrunec almeno fino al 2016 rilasciasse interviste su You Tube e sui media sloveni difendendo il maresciallo, la Jugoslavia socialista e mostrando le sue numerose onorificenze. Oggi la Farnesina ammette, dopo un mese di ricerche, che “non troviamo traccia della richiesta di accertare l’esistenza in vita dei decorati di Tito”. Nella migliore delle ipotesi si è perso tutto nei meandri governativi. Nella peggiore la richiesta è stata insabbiata per motivi politici.
La brutta storia inizia il 16 aprile 2013 con una lettera dell’allora prefetto di Belluno, Maria Luisa Simonetti, oggi a Lucca, in risposta alla richiesta degli esuli dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e del sindaco di Calalzo, Luca de Carlo, di togliere le onorificenze italiane a Tito e ai suoi sgherri consegnate dal presidente Saragat nel 1969. Il prefetto risponde (LEGGI IL DOCUMENTO) che per Tito non si può fare nulla essendo morto, ma rivela uno spiraglio sugli altri. “La Presidenza del Consiglio dei Ministri (…) - si legge nella lettera - ha reso noto di aver richiesto al Ministero degli Affari Esteri di riscontrare l’esistenza in vita di Mitja Ribicic, Franjo Rustja, e Marko Vrhunec, stretti collaboratori del Presidente Tito, anch’essi insigniti di onorificenze dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana” e di effettuare gli opportuni accertamenti sulla situazione giudiziaria di ciascuno riguardo ai crimini commessi durante il periodo bellico di cui fossero stati ritenuti responsabili”.
Rustja, braccio destro del comandante del IX Corpus titino che occupò Trieste nel maggio 1945 facendo sparire diversi italiani, era già morto nel 2005 a Lubiana, ma nessuno ha indagato. Ribicic era in vita, anche se per poco. Originario di Trieste, al vertice della repressione titina in Slovenia dal 1945 al 1957 è poi diventato primo ministro jugoslavo. Nel 2005 venne accusato di crimini di guerra, ma dopo 60 anni le prove erano sparite.
Ancora più clamoroso il caso di Vrhunec, commissario politico di Tito e dopo la guerra suo segretario dal 1967 al 1973. Non solo: il titino decorato da Saragat il 25 settembre 1969 è stato ambasciatore jugoslavo alle Nazioni Unite e Ginevra. Fino allo scorso anno era sicuramente vivo, anche se malato. E ha sempre difeso Tito, i suoi massacri e il socialismo jugoslavo con interviste nelle casa di Lubiana del 2016, che si trovano su You Tube o sui media sloveni. Probabilmente è ancora in vita, ma nessuno l’ha mai appurato per ritirargli l’alta decorazione italiana. Il ministero degli Esteri non trova traccia di niente del genere, come annunciato nero su bianco nel 2013, dal prefetto di Belluno. Una inaccettabile dimenticanza o un vergognoso insabbiamento dei governi Letta, Renzi, Gentiloni , che adesso riguarda anche l’esecutivo attuale. L’ennesimo schiaffo, dopo le belle parole del capo dello Stato, Sergio Mattarella, lo scorso 10 febbraio giorno del Ricordo delle foibe. Gli esuli continueranno a leggere sul sito del Quirinale i nomi di Tito e dei suoi sgherri come alti decorati della Repubblica italiana.
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