Gulistan (Azerbaijan) - La trincea si infila nella montagna erbosa, come ai tempi della prima guerra mondiale. Le pareti sono fortificate con le postazioni dei soldati, che puntano i fucili mitragliatori verso “dushman”, il nemico, annidato sui picchi di fronte dove c’è ancora la neve. Nel Caucaso meridionale azeri e armeni si fronteggiano da 20 anni nella guerra più dimenticata al mondo. Dal 1992 al 1994 provocò 30mila morti ed 1 milione di profughi con la conquista armena del Nagorno Karabak. Un fazzoletto di terra, che l’Azerbaijan considera parte della madrepatria. Durante la lunga tregua armata non si è mai smesso di sparare a singhiozzo.
Per la prima volta dei giornalisti italiani raggiungono il fronte azero del conflitto, che sembrava congelato, ma dall’agosto scorso è tornato a riaccendersi con una sessantina di morti da ambo le parti solo nei primi tre mesi di quest’anno.
I soldati di Baku in mimetica verde, elmetto, giubbotto antiproiettile e kalashnikov a tracolla si infilano nel budello della trincea aprendoci la strada. Il capitano Iftikar Jafarov parla perfettamente inglese: “Sotto le nostre postazioni c’è il villaggio di Gulistan occupato dagli armeni. Devono andarsene o non finirà mai”.
Lo scorso novembre gli azeri hanno abbattuto un elicottero. Cecchini, scontri e infiltrazioni sono il termometro dell’escalation, che rischia di riaccendere il conflitto con conseguenze disastrose. La piccola Armenia se attaccata sarebbe pronta a sabotare l’oleodotto azero verso la Turchia e l’Europa oltre a bombardare Baku. “Vogliamo una soluzione pacifica, ma siamo pronti a riprenderci il 20% del nostro territorio con la forza - spiega il generale Huseyn Mahmudov - Se bombardassero la capitale la pagherebbero cara. Possiamo radere al suolo l’Armenia”.
Nonostante tutte e due le parti mostrino i muscoli un attacco azero è un azzardo fino a quando i russi appoggeranno gli armeni.
Fra i monti contesi del Nagorno Karabak i soldati azeri, musulmani, giurano che “non è una guerra di religione” contro i cristiani armeni. Tutti bevono vodka nell’ex repubblica sovietica, dove l’Islam è più che altro una tradizione.
La ferita aperta del Nagorno Karabakh, però, sanguina ancora per i massacri che sono stati compiuti da tutte e due le parti.
Molti giovani si sono arruolati volontari in ricordo dei parenti uccisi, come Agil Guliyev. “ A 6 anni scappando da Kojali gli armeni ci hanno preso - racconta il sergente - Nonno Anvar l’hanno bruciato vivo davanti ai miei occhi”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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