Gli americani sapevano tutto. È questa la verità shoccante sugli ultimi sette anni di vita di Julian Assange, il fondatore del sito WikiLeaks che è rimasto asserragliato per oltre 2.500 giorni - quale rifugiato politico - nell'ambasciata dell'Ecuador di Londra. Prima di essere arrestato durante un'incursione di Scotland Yard, ed essere preparato all' estradizione negli Stati Uniti per volere di Washington.
Nessuno escluso, tutti i giornalisti di WikiLeaks che gli hanno fatto visita, tutti gli avvocati, i reporter, i politici, gli artista, e i medici che sono entrati al numero 3b di Hans Cres a Knightsbridge. Per fino un bambino di pochi anni. Uno spionaggio "sistematico e totale", secondo la giornalista de La Repubblica Stefania Maurizi che è stata tra i numerosi giornalisti recatisi a Londra per incontrare il nemico numero uno delle informazioni secretate dai governi occidentali. Tutte le conversazioni che avvenivano nel rifugio dell'attivista, tutti i movimenti, venivano registrati, filmati dalle telecamere di sicurezza, impacchettati e trasmessi in gran segreto all'intelligence americana.
Così, colui che credeva di sfuggire alla National Intelligence Agency e alla Cia per aver svelato al mondo i loro più indicibili segreti, attraverso le denuncie di personaggi come Edward Snowden e Chelsea Manning, è in realtà rimasto intrappolato in un'operazione di spionaggio da Grande Fratello orwelliano. Sapientemente architettata dagli agenti segreti degli Stati Uniti che dimostrano di stare - forse - sempre un passo avanti ai loro avversari. Secondo quanto riportato, le spie americane avevano addirittura pianificato di trafugare dall'immondizia - che veniva comunque controllata - il pannolino di un neonato che spesso era portato a fare visita nell' ambasciata per, effettuare un esame del Dna. Volevano sapere se poteva trattarsi di un figlio illegittimo tenuto segreto da Assange. Mentre tutto il mondo credeva che l'ambasciata dell'Ecuador di Londra fosse un rifugio amico e sicuro, la realtà voleva che invece era stata resa da una talpa insospettavile una specie di "prigione" ultra sorvegliata, dove gli americani avevano occhi e orecchie per merito di un'azienda di sicurezza spagnola: la Uc Global con sede a Jerez della Frontera, Cádiz. Tutto questo è stato reso noto per merito di un'indagine dell'Alta Corte di Spagna nei confronti dell'azienda e del suo proprietario David Morales.
La Talpa
Assange entrò nell'edificio di rappresentanza ecuadoriana presso il Regno Unito del giugno del 2012. Allora l'ambasciata "mancava delle più basilari misure di protezione, tanto da non essere dotata neppure di telecamere" riposta Repubblica. Per questo il governo dell'Ecuador presieduto dall'allora presidente Rafael Correa, si rivolse alla Uc Global, piccola azienda di security fondata dall' ex-militare David Morales: uomo di fiducia che aveva servito a lungo nel servizio di scorta e protezione le famiglia Correa. Morales però non si sarebbe dimostrato altrettanto fedele né alla causa abbracciata dal suo paese, né a chi gli diede questa "opportunità di lavoro" per entrare nell'alto livello del security mondiale. L'ex militare infatti, accortosi dell'importanza delle informazioni che sarebbero passate nelle sue mani, si rivolse agli 007 americani per mettersi al servizio di Washington e fornire loro tutto ciò che potesse sul conto di Assange, che passeggiava 24 ore su 24 davanti agli occhi elettronici delle telecamere della Uc Global.
L'escalation prima dell'arresto
Secondo quanto rivelato dall'inchiesta dell'Alta Corte spagnola, le operazioni di monitoraggio della vita di Assange subirono "una vera e propria escalation" dopo l'insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump - ossia quando Uc Global installò nell'ambasciata nuove telecamere capaci di registrare oltre che le immagini, anche le conversazioni; fornendo così dei resoconti completi su tutte le discussioni che avvenivano all'interno dell'edificio - comprese quelle riguardanti il gatto scomparso di Assange - che si sapeva essere "detestato" dal personale in servizio presso l'ambasciata.
Quei diverbi della vita di tutti i giorni erano alla mercé degli agenti dell'intelligence americana al pari delle conversazioni avvenute durante gli incontri più importanti - reputati inviolabili dall'attivista, che si sentiva protetto. Così Julian Assange, nella totale inconsapevolezza, veniva spiato seminudo durante le visite mediche a domicilio, mentre discuteva con l'ambasciatore dell'Ecuador Carlos Abad Ortiz, mentre si confidava con i suoi due avvocati, Gareth Peirce e Aitor Martinez. Il tutto nonostante la Uc Global avesse rassicurato più volte l'ambasciata che i colloqui non venivano registrati. A finire nel mirino sarebbero stati sopratutto i membri di WikiLeaks, ma anche un avvocatessa esperta di diritti digitali, Renata Avila, il filosofo croato Srecko Horvat e Baltasar Garzon, coordinatore della strategia legale che Assange avrebbe dovuto seguire.
Dopo questa shoccante scoperta, gli attivisti di WikiLeaks hanno affermato che dato "quanto accaduto", "l' estradizione negli Stati Uniti di Assange deve essere negata". Ma la giustizia inglese, che tra alcuni mesi esprimerà il suo ultimo verdetto, non sembra aver cambiato idea sul futuro dell'attivista.
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