C’è anche l’Italia tra i Paesi che bloccheranno le forniture di armamenti alla Turchia. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, a margine del Consiglio europeo sugli Affari Esteri che si è concluso poco fa a Lussemburgo. Roma si accoda alla decisione di Berlino e Parigi ed è pronta a ratificare nei prossimi giorni, con un apposito decreto interministeriale, la moratoria sulla vendita di armi al governo turco impegnato in unasanguinosa offensiva contro i curdi nel nord della Siria.
Chi si aspettava una presa di posizione forte dall’Ue su quanto sta accadendo in queste ore, però, è rimasto deluso. L'embargo europeo non ci sarà. La riunione dei ministri degli Esteri europei, infatti, si è conclusa con la promessa di agire a livello dei singoli Stati per bloccare il flusso di materiale bellico verso Ankara. Da Lussemburgo è arrivato soltanto un invito agli Stati membri dell’Unione, per impegnarsi a mantenere “posizioni nazionali forti riguardo le esportazioni di armi”.
Secondo gli esperti però l'impegno di Italia, Germania, Francia, Olanda, Norvegia e Finlandia rischia di essere soltanto "simbolico" e nel concreto non servirà a distogliere il presidente turco Recep Taiypp Erdogan dai suoi obiettivi. Il francese Le Figaro, ad esempio, scrive che la decisione certifica “l'impotenza della Francia e degli altri paesi europei dinnanzi all'iniziativa militare di Ankara”. Anche se venisse bloccata la fornitura di elicotteri e aerei da guerra, infatti, Ankara potrebbe rivolgersi ad altri fornitori. In cima alla lista ci sono Russia e Cina, con cui esistono già intese in questo senso. È a Mosca, ad esempio, che Erdogan potrebbe fare shopping degli stessi missili che dal 2017 la Turchia acquista da un consorzio franco-italiano che produce batterie di razzi schierati a difesa dei confini. Russia e Turchia, infatti, hanno già stretto un accordo per la vendita dei sistemi S-400. Blindati, droni e artiglieria pesante, invece, vengono prodotti da sei anni direttamente nella penisola anatolica. Il governo, infatti, sta investendo fondi cospicui nell’industria militare, con un settore, quello della Difesa, che cresce a cifra doppia.
I ministri degli Esteri europei hanno comunque condannato “l'azione militare della Turchia, che compromette gravemente la stabilità e la sicurezza della regione, causando un aumento della sofferenza dei civili e ostacolando gravemente l'accesso all'assistenza umanitaria", ricordando che i 28 "non forniranno assistenza per la stabilizzazione o lo sviluppo laddove i diritti delle popolazioni locali siano ignorati o violati". Nel documento però viene anche messo nero su bianco come la Turchia sia “un partner chiave dell'Unione europea e un attore di fondamentale importanza nella crisi siriana e nella regione”. L’offensiva turca, accusa però l’Ue, "rende molto più difficili le prospettive del processo politico guidato dalle Nazioni Unite per raggiungere la pace in Siria, oltre a minare i progressi compiuti dalla coalizione globale per sconfiggere Daesh”.
Le preoccupazioni del governo turco sul fronte della sicurezza al confine con la Siria, insomma, pur essendo legittime per Bruxelles, “dovrebbero essere affrontate con mezzi politici e diplomatici, e in conformità con il diritto internazionale umanitario”. È la stessa posizione sostenuta da Angela Merkel e Emmanuel Macron.
La cancelliera tedesca, in particolare, ieri ha parlato per un’ora al telefono con Erdogan per convincerlo a fare un passo indietro, mentre Parigi sta lavorando ad una strategia "per aiutare i curdi" in Siria.A parlare di "sanzioni" contro l'alleato atlantico è invece il presidente americano Donald Trump, che via Twitter promette: "Le guerre infinite finiranno".
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