La cronaca nera è sempre stata una fonte d'ispirazione per la letteratura di genere, come è ovvio, e non di genere, come è molto meno ovvio. Negli ultimi anni, abbiamo letto numerosi romanzi di qualità ispirati a crimini efferati. Qualche esempio. La città dei vivi (Einaudi, 2020) di Nicola Lagioia racconta l'uccisione del ventiduenne romano Luca Varani avvenuta nel 2016 per mano di Marco Prato e Manuel Foffo. Aurelio Picca è una straordinario interprete del cuore oscuro d'Italia: si vedano almeno i feroci Arsenale di Roma distrutta (Einaudi, 2018) e Il più grande criminale di Roma è stato amico mio (Bompiani, 2020). Tornando un po' più indietro, non si può dimenticare Romanzo criminale (Einaudi, 2002) di Giancarlo De Cataldo, libro sulla banda della Magliana che diventò anche una celebratissima serie tv.
Il massacro del Circeo ha toccato la fantasia di molti. Ne ha scritto, ad esempio, Edoardo Albinati in La scuola cattolica (Rizzoli, 2016). Ne scrive ora il francese Pierre Adrian in I bravi ragazzi (Gremese, pagg. 216, euro 18,50). I fatti (veri) in breve. Le vittime furono due amiche, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, attirate con l'inganno da Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira in una villa di proprietà della famiglia di quest'ultimo. Il pretesto era una festa. Invece le ragazze furono violentate e torturate fino alla morte di Rosaria. Adrian rielabora liberamente ma con una certa aderenza alla cronaca. Il romanzo forse risparmia al lettore qualche dettaglio crudele nel finale ma Adrian tocca le corde giuste, anche nel collocare la storia nel suo contesto, che è l'Italia degli anni di piombo (l'anno è il 1975). Viene ricordato anche Pier Paolo Pasolini. Lo scrittore, prima di essere vittima a sua volta di un linciaggio, commentò la vicenda del Circeo ampliando il quadro. I colpevoli sono giovani benestanti con legami nell'estrema destra ma Pasolini ci avverte: nessuna classe sociale è estranea a questa cieca violenza. La rabbia assassina non è esclusiva di una parte politica ma è una caratteristica di un'epoca materialista, edonista e consumista. Come canterà anni dopo Leonard Cohen in un brano intitolato The Future: «I've seen the future, brother:/ it is murder» (ho visto il futuro, fratello:/ è un massacro).
Il mostro di Firenze può vantare una cospicua bibliografia romanzesca, con un'apparizione anche in Hannibal (Mondadori, 1999), terzo capitolo della saga megaseller di Thomas Harris dedicato al cannibale Hannibal Lecter. Raramente, però, abbiamo visto uno sforzo pari a quello di Il Mostro (nottetempo, pagg. 510, euro 18,50) di Alessandro Ceccherini, al suo primo romanzo. Lo scrittore toscano punta alla ricostruzione totale della terribile storia dei sette duplici omicidi avvenuti fra il 1974 e il 1985 nei pressi di Firenze. C'è tutto quello di cui abbiamo sentito parlare nel corso degli anni e anche molto di più. Ceccherini è aderente ai fatti ma è anche capace di riempire i «buchi» inevitabili della storia giudiziaria. Soprattutto riesce a tenere insieme una quantità spaventosa (sarà il caso di dirlo) di materiale, trame, sotto-trame, eventi storici, documenti. I personaggi non si contano, sono decine e vanno da Pietro Pacciani al giudice Pier Luigi Vigna. I protagonisti parlano, con scelta all'inizio spiazzante ma alla fine vincente, in toscano. Per il resto, Ceccherini si mette al servizio della macchina narrativa e procede spedito senza perdere in profondità. Anche l'ultima delle comparse è ben caratterizzata e ha qualche tratto da ricordare.
E la storia? Davvero? Vogliamo parlare del più noto caso di cronaca nera della storia d'Italia? Sì. Ceccherini romanza sulla base dei fatti noti. La meccanica degli omicidi: troppo complessa per un uomo solo e rozzo come Pacciani. La pista esoterica: le mutilazioni dei cadaveri, e una serie di oggetti lasciati sui luoghi del delitto, indirizza le indagini verso l'omicidio rituale in funzione della magia sessuale. I sospetti sul «dottore di Perugia», Francesco Narducci, il cadavere del quale fu trovato nel lago Trasimeno nel 1985. Il citato Pietro Pacciani e i suoi «compagni di merende», un gruppo di guardoni che potrebbero aver fatto da palo al vero mostro o ai veri mostri. I depistaggi e contro depistaggi: erano gli anni della strategia della tensione; una volta archiviate le stragi politiche, cosa crea più tensione di un serial killer inafferrabile? La crisi della magistratura culminata nei «messaggi» di sfida del mostro. I testimoni inverosimili che sembrano imboccati dall'accusa e oscillano tra la furbizia e l'idiozia completa. Le opere d'arte, Dante recitato a memoria, le stregonerie, i proiettili che spuntano all'improvviso. Il vecchio omicidio degli anni Sessanta che forse fu l'esordio del Mostro. La incredibile pista «sarda». La stranezza di alcuni indizi a carico di Pacciani e la spettacolarizzazione del processo. Il sottobosco di negromanti, maghi, prostitute che salta fuori guardando la vicenda da vicino. Le zone oscure dove prosperano le sette, le logge deviate, i servizi segreti italiani e no. La violenza del contado dove un'umanità senza speranza, denaro e istruzione si contrappone alle immagini da cartolina per i turisti. La morte crudele delle coppie, che si riassume nello strazio inferto ai cadaveri.
Si arriva fino al 2022. Il Mostro è stato esorcizzato, entrando nel repertorio delle battute di gusto discutibile. Nessuno, dopo il processo, ha mai creduto che il pazzo criminale fosse Pacciani (assieme ai suoi amici). Che fine avrà fatto l'assassino? Forse sarà morto. Forse avrà considerato ultimata la sua folle «missione». Forse, per i lettori più complottisti, qualcuno ha deciso che il Mostro poteva andare in pensione, il mondo è cambiato, l'Italia stessa è cambiata più di una volta.
Il Paese si è modernizzato ma il mostro stimola la nostra paura più ancestrale. È il predatore che si abbatte all'improvviso sulle vittime. Eppure resta anche l'impressione, forse sbagliata, che il mostro sia stato anche un capitolo di una storia nazionale poco gloriosa e trasparente.
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