La vittima della malagiustizia, alla Convention di Fi a Paestum, ha il nome di Marco Siclari. E c’è l’ombra di Silvio Berlusconi dietro all’ex senatore azzurro, assolto pochi giorni fa in appello dall’accusa di scambio elettorale politico-mafioso, dopo una condanna a cinque anni e mezzo in primo grado. È il momento clou su «Giustizia. Una riforma per migliorare l’Italia» e uno dei relatori, il deputato Pietro Pittalis, evoca Siclari, «scagionato da tutte le accuse dopo cinque anni di calvario giudiziario, non con una formula di rito ma “perché il fatto non sussiste”». Lui, 46 anni, calabrese, si alza dalle prime file, un po’ stordito, un po’ commosso e intorno gli stringono la mano, gli danno pacche sulle spalle, si complimentano. «Bentornato tra noi, anzi non sei mai stato fuori», insiste Pittalis. E poi chiama l’applauso per la vittima principe della giustizia malata per gli azzurri, il fondatore, il Cavaliere. La sala scatta in piedi, tutti ricordano Berlusconi battendo le mani, lui che subì «il teorema dei pm, il disegno criminoso che voleva il leader di Fi fuori dall’agone politico», dice Pittalis. E ricorda la condanna definitiva che un giudice dello stesso collegio di Cassazione, Amedeo Franco, poi raccontò come «una porcheria politicamente orientata».
Per cambiare tutto questo Fi e il centrodestra sono impegnati sulla riforma del ministro Carlo Nordio per evitare gli abusi dalle intercettazioni all’abuso d’ufficio, ma «quella della separazione delle carriere è la riforma delle riforme», dice il viceministro della giustizia Francesco Paolo Sisto. Deve cambiare la Costituzione, iter difficile e ancora non è partita, ma resta una bandiera per gli azzurri. «L’abbiamo promesso e la porteremo a casa», assicura Sisto.
Separare le carriere vuol dire «sbaraccare il Csm, perché altrimenti nulla cambia», spiega Alessandro Sallusti. Il direttore del Giornale ricorda quello che gli ha raccontato Luca Palamara nel bestseller Il Sistema», su accordi, traffici, manovre carrieristiche e politiche a Palazzo de’ Marescialli. Dice che da quando la magistratura è diventata la vera opposizione ai governi non di sinistra, la supplenza illegittima ha sempre contato sul «triangolo: pm, giornalista, partito che amplifichi la notizia in parlamento, per delegittimare gli avversari politici». Se dopo 20 anni e più non è cambiato nulla è perché la riforma delle carriere di pm e giudici non si è fatta. Pierantonio Zanettin, oggi deputato ma al Csm proprio ai tempi di Palamara, concorda che sia necessario cambiare «radicalmente», rompere lo strapotere delle correnti, «che hanno una capacità persuasiva superiore a quella dei partiti e governano le carriere dei magistrati».
C’è una sola strada, il sorteggio dei membri del Csm, sottolinea Zanettin, e anche il «fascicolo del magistrato», perché la toga che ha fatto gravi errori ne subisca conseguenze sulla carriera. In sala siedono sindaci e altri amministratori locali azzurri, quelli spesso paralizzati dalla paura della firma e dal rischio di finire sotto processo per abuso d’ufficio. Un reato che il Guardasigilli Nordio vuole cancellare o definire diversamente e i parlamentari di Fi, che nelle commissioni parlamentari spingono il testo, anche con le importanti modifiche sulle intercettazioni, vengono ringraziati dai relatori per l’impegno.
Non si può perdere altro tempo.
Anche in questi giorni, ricorda Sallusti, all’assemblea a Palermo di Magistratura democratica, le cosiddette «toghe rosse» hanno rievocato lo spirito del «resistere, resistere, resistere», una volta del pool di Mani Pulite contro i governi Berlusconi, ora contro il governo Meloni. Lo spirito di quei pm che «non credono di dover applicare le leggi, ma di dover fare giustizia sociale».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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