"Salvare due persone, giocandosi la propria affidabilità, significa metterne in pericolo molte in più". Con queste parole, nel 2013, Cecilia Sala criticava l'impegno dell'allora esecutivo italiano per riportare a casa i due marò imprigionati in una cella indiana. Oggi, a distanza di oltre 10 anni, lei si ritrova nella stessa situazione, incarcerata in Iran e senza capi d'accusa, con l'intera diplomazia e con le figure di primo piano del governo impegnate a trovare un varco per permetterle di tornare a casa. Dallo scorso 19 dicembre, infatti, la giornalista si trova rinchiusa in un carcere nei pressi di Teheran, senza un capo d'accusa formale. Le sue condizioni sono buone, ha riferito la Farnesia che si sta occupando del caso, ma è urgente garantirle il rientro in Italia in tempi brevi.
La giornalista si trovava nel Paese con un visto di lavoro della validità di 8 giorni, al termine dei quali avrebbe fatto rientro in Italia. È partita lo scorso 12 dicembre e il 20 sarebbe dovuta sbarcare in aeroporto ma non è mai scesa da quel volo, sul quale non è mai salita. Ha potuto fare un paio di telefonate a casa per rassicurare i suoi parenti e ha ricevuto la visita consolare dell'ambasciatore italiano a Teheran, ma nulla di più per il momento le viene concesso. Non è chiaro per quale motivo sia stata arrestata mentre si trovava nel suo albergo, tanto che non è escluso che si tratti di un'azione di forza del governo locale, di una leva per liberare Mohammad Abedini-Najafabadi, iraniano fermato lo scorso 18 dicembre all'aeroporto di Milano-Malpensa dietro mandato di cattura internazionale emesso dagli Stati Uniti.
In un altro messaggio condiviso su Facebook due anni dopo, nel 2015, sempre sul caso dei due marò scriveva: "Se a due militari dell'esercito indiano capitasse per sbaglio di ferire a morte il fruttivendolo e l'edicolante di fiducia di Matteo Salvini su una pista da sci in Val Pusteria, senza indugiare un attimo l'Italia dimostrerebbe la sua superiorità e buona educazione rimandando a casa i due uomini in divisa, affinché aspettino tra le braccia dei loro cari un processo che non si terrebbe mai".
Perché, proseguiva, "l'idea di processare i due responsabili li dove è stato commesso l'omicidio, dove avevano cittadinanza le vittime e dove vivono i loro familiari, parrebbe a tutti noi un'idea da terzo mondo incivile, da popolo debosciato ed arretrato, che non sa apprezzare una buona Falanghina, non sa bene cos'è il fuorigioco e probabilmente non si doccia neanche tutti tutti i giorni".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.